Il titolo fa leva sul gioco di parole "misrepresentation" (=fornire una falsa immagine, una interpretazione distorta) e "Miss-Representation" (cioè mancanza di rappresentanza).
Il documentario descrive l'interessante punto di vista di tante donne, a partire da studentesse universitarie per arrivare a importanti professioniste del panorama lavorativo americano, sul motivo a causa del quale il sesso femminile non riesce ad ottenere una vera parità di opportunità e un trattamento basato sulla meritocrazia anziché sulla discriminazione sessuale.
Lo stereotipo della donna oggetto, considerata un giocattolo sessuale perennemente giovane e iper accessoriato, impedirebbe all'opinione pubblica americana (e non solo) di prendere sul serio candidati di sesso femminile per ricoprire cariche di potere.
Le percentuali, almeno negli Stati Uniti, parlano chiaro: pochissime donne al Congresso Usa, poche nei posti che contano alla Casa Bianca, pochissime alla guida di aziende, poche anchor woman, e così via.
La causa è dovuta alla rappresentazione distorta che i media danno dei modelli di donna, e anche al fatto che, per ogni donna protagonista di una "storia" sui media, se ne vedono almeno 9 che descrivono un uomo.
Per farla breve, siamo rappresentate poco e pure male.
E non è che in Italia le cose siano poi migliori.
In un libro italiano del 1973, Dalla parte delle bambine, Elena Gianini Belotto descriveva la discriminazione che viene impartita, a partire dalla più tenera età, alle bambine: il sesso debole deve avere determinate caratteristiche e attitudini (remissività, dolcezza, saper accudire, cura del proprio aspetto, ...) che vanno plasmate se non presenti nella bambina fin dalla nascita.
Ecco quindi che, dalla prima infanzia, si indirizzano le bambine verso giochi a "loro adatti", le si instrada verso professioni "da donne", si inculca in loro l'idea che un corpo gradevole e gradevolmente agghindato conti più delle idee che si hanno.
Le donne vengono oggettificate, giudicate in base al proprio aspetto e ogni dichiarazione pubblica analizzata sotto la lente del loro presunto umore altalenante dovuto agli ormoni. Se una donna piange in tv, è prossima al ciclo o è instabile e inaffidabile, se lo fa un uomo si enfatizza il suo aspetto umanitario e la sua forte empatia.
L'autrice Lorella Zanardo, esprime molto bene con il suo Il corpo delle donne, l'oggettificazione (stavolta tutta italiana) che i mass media e la maggior parte delle persone mettono in atto quotidianamente.
Il corpo delle donne è merce pregiata che vende altra merce, va usato sfruttato e reso appetibile sessualmente. Il corpo delle donne è solo un corpo, prescinde dall'essere umano che lo abita.
E qui, torniamo a MissRepresentation:
le tendenze sociali della nostra epoca passano attraverso i cavi della televisione, la carta patinata dei giornali, e su internet. Questi mezzi vendono un'immagine stereotipata delle donne, che viene assorbita dalla massa della popolazione. Quella che è finzione o la cronaca vista da un unico punto di vista, educa la popolazione a vedere attraverso gli occhi di quell'unico punto di vista, quello degli uomini.
Non può esserci parità se la discriminazione capillare dei sessi viene diffusa in ogni angolo della terra, se l'unica cultura accessibile alla massa mette noi donne in secondo piano e ci trasforma in corpi da mantenere al top, se ci ridicolizza come isteriche macchiette inaffidabili e incapaci di controllare le emozioni.
Non può esserci parità fintanto che noi donne siamo le nostre prime nemiche: dobbiamo affrancarci dagli stereotipi con i quali siamo cresciute e attraverso i quali esprimiamo giudizi nei confronti delle nostre compagne di genere: quante volte abbiamo giudicato una donna definendola puttana, strega, donnicciola?
Ogni volta che usiamo, contro una donna, le generalizzazioni messe in piedi da una cultura prettamente maschile, togliamo potere a noi stesse; viviamo un'epoca che è pregna di maschilismo, che si alimenta e rafforza ogni qualvolta noi giudichiamo un'altra attraverso le lenti di questa cultura distorta.
La parità e l'uguaglianza dipendono da noi, da cosa insegnamo ai nostri figli e alle nostre figlie, dalla libertà che decidiamo di concederci prescindendo dalla perfezione che la pubblicità ci vuole vendere a caro prezzo.
Dipendono da quanto i nostri orizzonti sono ampi, dagli obiettivi che ci poniamo senza badare alle caselline nelle quali ci hanno inquadrate; dipendono dalla capacità di scardinare l'eredità maschile che abbiamo incamerato "grazie" alle nostre famiglie, dipendono dalla volontà di vincere la paura e l'invidia per trasformarle in aggregazione e solidarietà.
Solo allora, il dividi et impera verrà sostituito da una più proficua, ed equa, collaborazione e parità dei sessi.
Il compito è nostro, siamo in grado di accettare la sfida?
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