mercoledì 26 agosto 2009

Una seconda chance ai libri, riciclarli e risparmiare

Leggere è una gran cosa, ti apre gli orizzonti, ti riscalda il cuore, ti illumina la mente.

Pare che noi italiani leggiamo pochi libri, anche se ogni volta che vado in libreria trovo sempre un discreto numero di clienti.

Però, il prezzo di un piacere effimero o di un sapere duraturo inizia a diventare pesante per le nostre tasche, come niente ti arrivano bastonate da 22 euro per un romanzo che leggerai solo una volta o 60 euro per un manuale non universitario. Così noi compriamo questi invitanti tomi, spendiamo una tombola e magari li lasciamo lì, a impolverare insieme alla colpevolezza di aver "ucciso" un albero per un solo attimo di sapere.

Atteggiamento poco ecologico, soprattutto perchè molti libri non li apriremo mai più, e allora tanto vale liberarli e farli rivivere nelle mani di altre persone.

Per fortuna, cè una nutrita scelta che ci consente di fare questo, risparmiare carta, soldi e di rispettare l'ambiente.

Inizio subito scartando l'ipotesi "prestito agli amici" perchè sappiamo tutti come va a finire, ma il "prestito ai parenti" resta sempre una validissima opportunità, soprattutto quando i parenti (del mio amore) comprano decine di libri al mese  :-)

Per tornare quasi seri, sul web si è ampiamente diffusa la moda del bookcrossing, che consiste nel cedere un proprio libro a un'altra persona con la promessa che quest'ultima lo ceda a sua volta dopo averlo letto. In questo modo la stessa copia cartacea di un libro può arrivare a essere letto da decine di persone, le quali volendo potranno anche aggiungere frasi, note, messaggi che vanno ad arricchire la lettura.

Il sito più famoso di bookcrossing è http://www.bookcrossing-italy.com/

 

Altre alternative sono costituite dallo scambio di libri; su anobii ad esempio si mettono a disposizione degli utenti i libri che si vogliono scambiare o anche regalare, si cercano i libri che ci interessano e si contattano i possessori per chiedere se sono disposti a barattare i loro libri con i nostri.

Su bookmoch invece , un data base a livello internazionale, c'è un sistema a punti: inizi caricando nel db dieci libri che vorresti cedere e guadagni un punto, punto con il quale puoi richiedere un libro che ti piace. Quando effettui una spedizione a chi ti ha fatto richiesta di un libro, guadagni un punto, che ovviamente potrai usare in seguito. Un punto, un libro, semplice e rigorosamente gratuito.

 

Nel web poi, c'è un nutrito numero di siti che vendono libri usati a prezzi interessanti, oppure la catena di librerie Mel Bookstore ha un ampio catalogo di libri usati che offre al 50% se in buone condizioni o anche a prezzi inferiori, libri che molto spesso compra dai privati cittadini che si presentano in libreria con la loro sportina di libri (il prezzo che offrono è però molto basso, si aggira intorno al 10-15%).

Una grossa novità poi, è rappresentata dal libro in formato elettronico (e-book), che azzera completamente l'impatto ambientale e che dovrebbe consentirci di risparmiare sull'acquisto delle nostre letture. Direttamente sul pc o attraverso lettori appositi che non affaticano la vista e consumano meno dei pc (e consentono addirittura di scrivere appunti, memo, tag sul libro che stiamo leggendo), potremmo avere la possibilità di portare migliaia di libri in un contenitore grande come un'agenda e dello stesso peso.

Dico potremmo perchè in Italia non si è ancora diffusa la cultura dell'e-book, sono rarissime le case editrici che usano questa forma di diffusione e esiguo il numero di titoli messi a disposizione. Peccato, perchè se pensiamo alle centinaia di migliaia di libri che ogni anno le case editrici mandano al macero a me viene un pò di rabbia...

Per finire, c'è un'ultima via per dare nuova vita ai nostri libri o per accrescere la nostra cultura: donare alle biblioteche (ma anche alle scuole, ai carceri, agli istituti) e prendere in prestito dalle stesse.

 

 

Buona lettura!

 

 

 

venerdì 21 agosto 2009

Considerazioni sul caldo

A pensarci bene, quest'anno il caldo è veramente terribile.

Quanti di noi hanno giurato in primavera di non lamentarsi più dell'incessante pioggia e del freddo, per poi sbugiardarsi in queste torride giornate?

Lo confesso, sono la prima della lista. Non so se è la vecchiaia o il fatto che la maggior parte delle ferie ce le siamo fatte in città, ma proprio non tollero più la calura e l'afa. E allora, da queste onde che avvolgono e annebbiano la mia mente, sono uscite alcune cosiderazioni, alcune scontate tipo "non ci sono più le mezze stagioni", altre forse un pochino più strampalate.

E' così che ho iniziato a pensare che da bambina prima e da giovine poi passavo le ore a giocare sotto il sole cocente, senza soffrire minimamente; era forse che un organismo giovane reagisce meglio alle sollecitazioni climatiche? Il ragionamento non mi tornava, perchè andava a cozzare con il fatto che tante persone di età anche avanzata lavorano all'aperto con tutte le condizioni climatiche possibili (anche le elevate temperature dei mezzogiorni di luglio/agosto) epperò sopravvivono.

E allora ho iniziato a pensare che forse c'erano due motivi fondamentali alla mia/nostra disabitudine al caldo: l'aria condizionata che ormai ci accompagna ovunque e la maniacale attitudine dell'uomo a radere al suolo tutto ciò che è verde manco fosse Attila.

L'aria condizionata venti anni fa ce l'avevano solo gli uffici e i ricchi, adesso ce la portiamo ovunque. Siamo sotto il sole a 35 gradi ad aspettare un autobus, ed ecco che poi saliamo in un ambiente a 25 gradi per poi scendere di nuovo e ritrovarci i 35. Certo... se consideriamo le condizioni pietose del nostro sistema di trasporto pubblico, l'aria condizionata in metro e bus ti evita il collasso e le camicie zuppe di sudore alle otto di mattina.

Poi, entriamo in ufficio (questo discorso vale per tutti tranne per me, che lavoro in un fatiscente palazzo di vetro dove l'aria condizionata non funziona e c'è scarsissimo ricambio d'aria) e ci ristoriamo con le temperature spesso polari delle nostre stanze. Poi usciamo per un caffè o per il pranzo, saliamo magari in macchina che segna 40 gradi al sole e accendiamo l'aria condizionata, scendiamo al caldo e rientriamo in un ibernante centro commerciale. E così via fino alla sera a casa, dove a questo punto siamo costretti ad accendere la nostra aria sintetica per riuscire a dormire con un minimo di tranquillità.

Magari, e dico magari, il nostro sistema di regolazione termica non sa più a che santo votarsi con tutti questi sbalzi; certo, siamo tutti preoccupati dal mal di gola o dal raffreddore da aria condizionata, ma ce ne freghiamo allegramente del fatto che senza condizionamento non saremo più in grado di vivere come hanno vissuto per migliaia di anni fino a due decenni fa tutti gli umani.

E' anche vero che i nostri antenati non hanno mai costruito agglomerati urbani così grandi da provocare l'abbattimento di alberi, boschi, campagne, radure (fatta eccezione per gli antichi romani che pare abbiano contribuito a gettare le basi delle attuali deforestazioni).

Sappiamo tutti che gli alberi riescono a creare una sorta di protezione termica nella zona in cui vivono; la differenza tra lo stare con la capoccia al sole e sotto le fronde di un albero la conosciamo tutti... fa caldo anche sotto l'albero però molto meno. Inoltre provate, termometro alla mano, a misurare la temperatura di una città come Roma e quella di una zona verde nelle immediate vicinanze: la differenza c'è sempre, ovviamente non a vantaggio della città.

E' ovvio che queste strade deserte, cementificate amplificano e propagano il calore ovunque, è naturale che palazzi di vetro circondati dal nulla anzichè da alberi facciano da forni a microonde per i due neuroni rimasti sani di chi ci lavora dentro.

Cosa possiamo fare allora per sopportare meglio il caldo che si fa sempre più insistente e prolungato?

Provare a stare di più all'aria aperta, magari con un cappello, ed evitare di accendere l'aria condizionata in macchina anche per fare 200 mt.

Mettere, laddove possibile, delle tende che impediscono al sole diretto di battere sui vetri e se proprio si deve accendere l'aria, scegliere una temperatura non eccessivamente bassa, azionando magari il deumidificatore.

Piantare alberi: sembra assurdo e improponibile ma ci vuole poco. Comprare o scambiare dei semi di alberi è facile, seminarli e vederli crescere è un'ottima scuola per noi e per i bambini, scegliere il pezzo di terra dove farli dimorare non impossibile: i guerrilla gardener possono darci tante dritte, ma possiamo provare anche noi a metterli nei giardini comunali un pò spogli o anche in quelle strisce d'erba che dividono le corsie delle strade.

Piantando alberi contribuiamo a ridurre le emissioni di co2 e rendiamo la zona in cui abitiamo più bella e accogliente, e magari fra qualche anno potremo riposare sotto le fronde di quel piccolo seme che abbiamo accudito con tanto amore.

 

venerdì 7 agosto 2009

Ragionamenti Bio intorno a un piatto di prugne

E' incredibile come la natura ci metta di fronte a centinaia di variazioni su uno stesso tema.

E' meraviglioso scoprire che un frutto è uno, nessuno e centomila, e che per ogni tipo che si mangia si assume un colore diverso dello spettro; la prugna si presta benissimo a questa piacevolissima scoperta, offrendoci in questa stagione sempre un volto diverso.

Esistono le prugne piccole e selvatiche, gialle e rosse dal sapore zuccherino squisito; ci sono le susine, quelle viola a punta con una polpa gialla delicatissima e estremamente indicate per fare delle deliziose marmellate casalinghe; ci sono le prugne gialle giganti, un trionfo di dolcezza, le sangue di drago da colore esterno rosso/verde e dalla croccantissima e asprigna polpa rosso sangue; ci sono le prugne nere fuori e bianche dentro, un piacere affondarci i denti. E poi ce ne sono tantissime altre, che nel periodo estivo si alternano o si contendono i favori degli acquirenti.

Noi, per non sbagliare, ne compriamo sempre un pò di tutti i tipi, e quasi ogni giorno ci prepariamo un piatto coloratissimo e ricco di gusti sempre nuovi.

Noi, però, compriamo la frutta fresca al mercato, da un contadino che vende al pubblico e che non usa i metodi dell'agricoltura convenzionale. Il contadino lavora come lavorava suo padre e il padre di suo padre prima di lui, ha rispetto della sua terra al punto che mai e poi mai taglierebbe un albero per fare spazio a un "business" diverso da quello che ogni giorno lo fa stare piegato a contatto intimo con la stessa terra. Il contadino non è certificato Bio, ma le brave persone non hanno bisogno di certificazioni per dimostrare la loro buona fede. Soprattutto, sono i suoi prodotti che non mentono: ogni settimana espone frutta e verdura diverse dalla precedente, porta quello che la sua terra produce e non quello che tutti gli altri fruttivendoli hanno esposto in maniera identica in tutti i banchi d'Italia. Sarebbe inutile star qui a portare prove che avallano le mie tesi perchè non c'è bisogno di convincere nessuno; tuttavia, il sapore di questi ortaggi è nettamente superiore a quanto potremmo mangiare altrove, e chi ci viene a trovare si stupisce sempre della bontà di quello che mettiamo in tavola, e nel caso di frutta è ovvio che non può essere "frutto" delle nostre doti culinarie.

Per tornare a noi, un altro indizio tradisce l'animo antico di questo contadino: espone sempre frutti che difficilmente si riescono a scorgere altrove.

E qui torniamo alle nostre amiche prugne, le quali insieme a tanti altri vegetali gli fanno onore: in quarant'anni di (presumibile) onorata vita masticatoria, mai e poi mai avevo visto in un mercato (e tantomeno nei negozi di pseudoalimenti chiamati supermercati) tanta varietà, ma soprattutto mai e poi mai avevo mangiato le sangue di drago o le dolcissime selvatiche.

Perchè, mi viene da pensare? Ma perchè l'agricoltura convenzionale è monocultivar, non si mette lì a curare piante secolari ma riduce i campi di frutta e verdura in filari ordinati di una sola specie di ortaggio per poterla gestire al meglio, farla maturare nello stesso tempo, propinare le stesse dosi di fertilizzanti al petrolio, insetticidi al petrolio, conservanti al petrolio. Così si riducono i costi e con tutto quel petrolio riescono pure a semimbalsamare il prodotto e farlo durare per settimane anzichè pochi giorni come la natura avrebbe previsto.

 

E quindi, quale potrebbe essere la differenza tra il contadino che preserva le sue varietà per offrire a sè stesso e a noi frutti antichi ma ahimè sconosciuti ai più, e l'imprenditore convenzionale?

Potrebbe essere la stessa differenza che c'è tra un racconto che riscalda l'anima e un sms pubblicitario

Potrebbe essere la differenza che passa tra un mondo di colori che rallegrano gli occhi e distendono la mente e un triste nonchè inutile volantino  in bianco e nero

Potrebbe essere la stessa differenza che c'è tra un bagno in un mare limpido e cristallino e quello fatto nella piscina condominiale 4x4 mt, ricca di dannosi miasmi e sempre con la stessa acqua.

 

Abbiamo perso molto negli ultimi 50 anni "grazie" all'agricoltura convenzionale e ai jet che portano il cibo da un angolo all'altro del continente...

Aabbiamo perso migliaia di specie di piante, sacrificate in nome della resa agricola, abbiamo perso la capacità di percepire decine e decine di sfumature di gusto perchè a tavola ci arrivano sempre le stesse 30/40 specie e tra l'altro pure maturate artificialmente perchè vengono raccolte quando sono ancora verdi, abbiamo perso la gioia di aspettare la stagione estiva per mangiare il cocomero, quella autunnale per le castagnate, e quella invernale per le mele.

Abbiamo perso la possibilità di vivere in mezzo a mille colori e nutrirci delle loro differenti  e vitali vibrazioni, abbiamo perso il piacere di andare per boschi e scoprire tra i rovi dei frutti deliziosi, abituati come siamo a mangiare quelli "allevati" che sanno di acqua, abbiamo perso il contatto con la terra che solo chi la ama sa trasmetterci, e per questo consentiamo alle imprese convenzionali di inquinare i nostri corpi, i nostri sogni, le nostre scelte.

Abbiamo perso la naturalezza di giocare con la terra, di sporcarci e di rivoltarci dentro di essa, temiamo di staccare un frutto dall'albero e mangiarlo così com'è perchè "se non c'è l'amuchina ci prendiamo germi e batteri", siamo asettici, asfittici, stitici dentro e fuori.

Per quello che mi riguarda, non è poco, e sinceramente non me ne faccio nulla di dieci, cento, diecimila articoli che denigrano o tentano di sputtanare l'agricoltura biologica, perchè quello che questi signori non capiscono è che comprare cibo non è solo sborsare quantità il più possibile minime di denaro o nutrire il proprio corpo per sostentarci e andare a lavorare 12 ore al giorno.

Il cibo è vita, gioia, poesia, contatto con la madre terra, nutrimento per l'anima e molto altro. E le prugne del mio amico contadino oltre a nutrire il mio corpo riescono a fare tutto il resto. La lattuga radioattiva, proprio no.