giovedì 24 settembre 2015

Life is too short

"Life is too short to spend it with negative people"

Questa frase, trovata tra le tante perle di saggezza che il web ci offre quotidianamente, giunge a compimento di una interessante conversazione avuta in merito al concetto di amicizia ma, più estesamente, al contributo in termini di crescita esperienza e arricchimento generale che una relazione di amicizia può dare.
Un anonimo sul web ha scritto: 
"L'amicizia, per alcuni, è il sentimento più bello che si possa provare nella vita, perché è un rapporto alla pari basato sul rispetto, la stima, e la disponibilità"

E' un'altra considerazione che mi sento di condividere, sebbene questa idea parta dal presupposto che ogni persona sulla terra che si relaziona ad un'altra, abbia ben presente in mente (e nel cuore) questo concetto.
Un rapporto alla pari basato sul rispetto, la stima, e la disponibilità: non sempre è così, e solo una piccolissima percentuale di amicizie si sviluppa mantenendolo in equilibrio.

A volte, inoltre, attribuiamo alla parola amicizia tutta una serie di interazioni con l'altro che poco hanno a che fare con essa: entusiasmo per la novità, infatuazione, opportunismo, romanticismo, abitudine,...


Ogni persona che ci capita davanti, ha sicuramente qualcosa da darci, anche nelle storie che ci hanno fatto arrabbiare di più; è un dato di fatto, come è un dato di fatto che non è necessario soffrire per imparare delle lezioni.

Al di là di ogni considerazione razionale, o spesso solo inconsapevolmente irrazionale, tutti noi abbiamo uno strumento prezioso e infallibile per capire se chi abbiamo davanti è un esempio negativo e fonte di disagio. Talmente semplice da sembrare banale, ed è forse per questo che troppo spesso non ne teniamo conto.
Basta metterci in ascolto delle nostre sensazioni, dare credito all'emozione che ci suscita la presenza o l'idea della persona che abbiamo davanti.
Basta farlo consapevolmente e senza giudizio, ma con la sola intenzione di capire cos'è meglio per noi. 
Basta esercitarsi e partire con piccoli riscontri, tipo il verduraio sotto casa o la signora dell'edicola che ci vende il quotidiano. 
Basta imparare ad ascoltarsi, senza filtri e sensi di colpa per quello che stiamo per fare.
Non c'è la persona buona o cattiva (come concordavamo ieri con un amico), c'è solo da sapere se questa persona va bene o no per la nostra crescita, per noi.


Basta imparare a lasciare andare, e basta avere sempre la consapevolezza che il passato non può incatenare il nostro presente.

Le persone che vengono definite negative, spesso non vanno bene nemmeno per loro stesse; questo non è un concetto assoluto applicato allo specifico individuo, ma può rappresentare un momento contingente che attraversano: c'è chi ti succhia energie perché è emotivamente immaturo, c'è chi cerca attenzioni da tutti perché si sente solo anche in mezzo a una folla, c'è chi fa del gioco di forza il suo modo per gratificarsi... 
E' ovvio che alcuni comportamenti, applicati su larga scala, portano la persona a stabilizzare certi atteggiamenti, e ritrovarsi a ripetere sempre gli stessi errori.
Questo, non possiamo saperlo.
Possiamo però sapere cosa sentiamo quando ci capitano questi episodi, e stabilire in tutta tranquillità d'animo se per noi qualcuno è nocivo o benefico.

Se riuscissimo ad applicare ciò su larga scala, le "persone negative" non avrebbero presa sulle vittime che puntano, e potremmo indirettamente far loro del bene perché a quel punto saranno costrette a cambiare; in meglio, mi auguro di cuore.

Quindi, impariamo a scegliere, perché la vita è troppo corta per passarla con persone negative, troppo corta per recriminare o arrabbiarsi.
C'è un mondo di esseri umani là fuori, non resteremo soli se impareremo a volerci bene e rispettarci.
 
Foto: copertina del libro Arcobaleno e gli abissi marini (M. Pfister)

lunedì 21 settembre 2015

Chi si ferma è perduto

Mai come negli ultimi mesi, il mio corpo mi ha dato una serie di segnali volti tutti nella stessa direzione: muoviti, muoviti, muoviti.

A ottobre scorso ho ricominciato a fare sport con la prepugilistica, poi mi sono comprata il tappeto elastico, e incredibilmente, i segnali di dolore insofferenza alla sedentarietà e acciacchi vari, si sono acuiti e moltiplicati.
Si sono acuiti per due motivi: il primo è che sono stata troppo tempo ferma senza fare nulla di consistente. Il secondo motivo, è che quando ricominci a muovere il tuo corpo, riesci a percepire e interpretare correttamente quei segnali che prima ti passavano semplicemente davanti agli occhi senza essere colti, avvolti da una coltre di indefinitibile senso di essere entrato nel club degli "acciacchi della mezza età".
Quest'estate, quindi, non mi sono fatta mancare una pesantezza di gambe davvero... pesante, proprio come quella delle matrone di una volta. E, di certo, la mia schiena si è risentita di non avere più le dovute attenzioni, pertanto ha iniziato a fare le bizze; tutta la colonna, in realtà, dalla prima vertebra cervicale (coinvolgendo anche l'atlante) fino al coccige, propagandosi per le gambe e arrivando fino ai metatarsi, è stato tutto un manifestarsi di dolori e disagi.

Nella meditazione vipassana, quando sei all'inizio dell'avventura, hai tutta una serie di distrazioni che il cervello mette in atto per fuggire dal "qui e ora": sei seduto e ti comincia a prudere il naso o ti viene un crampo, stai lì a meditare e ti viene in mente che non hai spento il gas, ti concentri sul respiro e improvvisamente inizi a tossire... Tutto pur di non uscire dagli schemi automatici al quale è abituato (il cervello) e finalmente fare qualcosa di diverso.
In poche parole, cerchiamo di sabotarci.
Lo stesso, quando si inizia a muoversi: si presentano alla nostra porta dolori di trent'anni fa, contratture dimenticate, acuirsi di sintomi cronici.  E' ovvio che se abbiamo patologie o sospettiamo di aver esagerato con le flessioni, sarebbe da pazzi trascurare il tutto e continuare imperterriti a fare movimento.
In questo caso, farsi seguire da un professionista che conosce le nostre problematiche, ci risparmierà guai seri.
Per tutti gli altri, quali che siano i tentativi di fuga che cervello e corpo mettono in atto, l'imperativo è solo uno: movimento.
Di recente, ho visto un simpatico video sui danni della sedentarietà.
Il titolo dell'articolo declamava "Perchè la sedentarierà è il nuovo fumare", ad indicare che il nuovo fronte di battaglia della nostra salute si è spostato dall'abitudine dannosa di introdurre nei polmoni sostanze tossiche, a quella altrettanto dannosa di immobilizzare arti e organi interni.

"I nostri corpi siedono per molto più tempo di quanto non ne passino in movimento. E, semplicemente, non sono stati progettati per una esistenza sedentaria", dice il video, che vi invito a guardare:


"Pertanto, se ogni centimetro del nostro corpo è pronto per e in attesa di muoversi, cosa succede quando non lo fa?"

Alcuni studi, ripresi in un articolo del New York Times nel 2014, arrivano addirittura ad affermare
"... più ore le persone rimangono sedute, più aumentano le probabilità di contrarre diabete, sviluppare malattie cardiache e altro, e potenzialmente morire prematuramente - anche se le stesse persone praticano regolare esercizio fisico"  (http://well.blogs.nytimes.com/2014/09/17/sit-less-live-longer/?_r=0)

Questa alza di molto l'asticella dell'importanza del movimento, perchè ci spinge a pensare (ragionevolmente) che non è sufficiente praticare uno sport assiduamente per qualche ora a settimana, per scongiurare qualsiasi tipo di malattia occidentale (= causata dalla sedentarietà).
In definitiva, e in pratica (molta pratica), l'imperativo è: meno seduti, più sudati.

Paradossalmente, potremmo arrivare a pensare che l'esercito di impiegati da ufficio (si, proprio quelli seduti in cubicoli ristretti o in enormi capannoni, proprio come i polli allevati in batteria o "a terra"), è soggetto ad un rischio di sviluppare malattie professionali più alto rispetto ai poveretti che sono costretti in miniera, o che senza fare scomodi paragoni, diventeranno una razza in via di estinzione.

In questi mesi, il tam tam di notizie sui benefici del movimento si sta spargendo per il globo, qualsiasi rivista dedica almeno un trafiletto all'importanza di non soccombere alla sedia, e sembra che gli studi in merito siano in crescita. E sembra, anche, che tutti sostengano che stare fermi accorcia la vita.
Davvero la scoperta dell'acqua calda, ma se i mass media sono riusciti a convincere nel corso dei decenni le persone di moltissime idee strampalate, perché non dargli ascolto anche questa volta?

L'imperativo che ognuno di noi dovrebbe stamparsi nella coscienza, è quello di muoversi il più possibile e non arrendersi ai primi acciacchi. Almeno tre ore al giorno, anche spalmate durante la giornata, e non necessariamente esercizi spossanti: basta camminare, allungarsi, camminare, fare delle torsioni, camminare, piegarsi e distendersi, camminare.

Chi si ferma è perduto, e cade malato.