martedì 28 giugno 2011

Comfort food...

Quando si è stressati si perde il contatto con quanto il nostro corpo ci trasmette: dimentichiamo di andare in bagno, di bere, e mangiamo quello che ci capita a tiro. Se siamo chiusi all'ultimo piano di in un bunker di acciaio nero e cristalli fumè, e senza la possibilità di fare una pausa al piano terra in un bar o in un posto semi-civile, l'unica alternativa per rilassarci da un devastante quanto tediosissimo corso di formazione è rifugiarci nel locale dove ci sono i distributori.


E' qui che, annientati nello spirito, con nemmeno la forza necessaria ad aprire la porta del bagno, ci rifugiamo alla ricerca di quella carica energetica che oscuri vampiri ci hanno succhiato con diecimila pagine di presentazione in pps.


Non c'è scampo, nemmeno i più virtuosi e coloro che sono a dieta stretta ce la fanno a resistere, nemmeno quelli come me che per una settimana e mezza hanno resistito stoici con la loro bustina/ona di frutta... alla fine la macchinetta è l'unico conforto che resta e il cibo morbido, saporito, grasso, a buon mercato e killer ci dona l'effimera sensazione di poter proseguire fino alle due e oltre. 


E così, quella che nasce come un'esigenza nata durante una situazione di emergenza, rischia poi di cronicizzarsi, cristallizzarsi in efferata abitudine pluriquotidiana. Quello che in termini aziendali potrebbe essere rappresentato da un risparmio di tempo e quindi (pensano loro) in aumento di produttività, si rivela un temibile boomerang per le nostre arterie, i nostri stomaci, il nostro organismo in generale.


E, alla lunga, si trasforma in una spesa quotidiana di un certo livello, dal momento che cercheremo più volte al giorno di fuggire da quell'assurda alienazione che noi accettiamo sotto il comune nome "lavoro di ufficio" e rifugiarci in quel finto, energivoro, succhiavita angolo delle tentazioni che noi chiamiamo zona relax...

giovedì 16 giugno 2011

Less is more. Diario di decrescita step by step. Primo step: lo zucchero

Nell'ambito di un progetto di decrescita potremmo prendere in considerazione un milione di attitudini che si prestano allo scopo.


Sappiamo ormai che ridurre i consumi è fondamentale, e soprattutto che non c'è bisogno di epici sacrifici per fare la nostra parte quotidiana: basta poco per cominciare, e una piccola idea di come farlo.


Il primo step del mio progetto riguarda lo zucchero.


Lo zucchero inteso in quanto prodotto della lavorazione di barbabietola, canna e mais (sotto forma di sciroppo di glucosio o glucosio), non quello contenuto nella frutta per intenderci. Parlo dello zucchero che apporta calorie vuote e zero nutrienti, di quello zucchero che consumiamo in enormi quantità senza rendercene conto perchè ormai è ovunque.


Parlo dello zucchero che ingeriamo fin dal primo mattino perchè ce lo ritroviamo nello yogurt, nel succo e nella merendina e che ci accompagna lungo tutta la giornata quando mangiamo pane (spesso addizionato), insaccati, piatti pronti surgelati o precotti, bibite varie, caramelle e dolciumi vari fino al semplice cucchiaino che consumiamo nel caffè.


Ecco... oltre a far male in modo indicibile (e basta digitare su google per capire quanto possa far male), lo zucchero è una spesa superflua per le famiglie (facciamo il conto di quanti kg ne consumiamo ogni anno e moltiplichiamo per il costo al kg), uno spreco inutile di risorse del pianeta (piantagioni di barbabietole irrorate di pesticidi e concimi chimici inquinanti, fabbriche maleodoranti e tutto il ciclo di trasporto che subisce il prodotto), un potenziale, pericolosissimo fattore di malattie (diabete, carie dentarie, depauperamento del patrimonio vitaminico dell'organismo, etc etc etc).


Un prodotto inutile e dannoso, che interferisce con l'assimilazione dei nutrienti veri, degli zuccheri derivanti dai cereali integrali, da frutta e verdura. 


 Lo zucchero è dappertutto sugli scaffali della grande e piccola distribuzione, se da una parte è molto facile capire quali sono gli step per evitarlo, dall'altra ciò richiede una grande attenzione per mantenere la rotta:



  • farò attenzione a consumarne solo uno o due cucchiaini nell'orzo giornaliero o bi-giornaliero

  • comprerò solo cibi freschi o confezionati senza zuccheri aggiunti

  • eviterò il più possibile bibite addizionate e caramelle/gomme di ogni genere


Un impegno apparentemente piccolo ma dal grande impatto personale e ambientale.

D'altronde da qualche parte si dovrà pur cominciare, no?

martedì 7 giugno 2011

Il balcone e il peperone

Sono 4 anni che mi cimento con ortaggi e verdure sul mio bel balcone.


Gli esempi di tanti amici, erbaviola in testa, mi hanno sempre stimolata a "osare".


Così, anche quest'anno mi sono lanciata nella meravigliosa esperienza: memore però dei fallimenti passati, ho deciso di dedicarmi a poche semine (o trapianti) facilmente controllabili.


Così, scartando molte cose tra cui i pomodori che a me proprio non riescono, e sperando che prima o poi alcune specie vadano a germinazione (leggasi Stevia), ho creato delle simpatiche composizioni in vaso di peperoncini e basilico, uniti ad aglio o rosmarino. Ho anche delle magnifiche piantine di Luffa cilindrica e di cicerchia, fagioli mung e peperoni.Nel frattempo, per un evento involontario (la busta di miglio per gli uccellini è caduta in un vaso), forti piantine di miglio crescono sul lato nord della casa, e la bella pianta di limone pare che quest'anno potrebbe fruttificare assai.


Rispetto agli anni passati, stavolta mi sono limitata a poche cose, controllabili facilmente e che renderanno il mio balcone un sobrio e funzionale orticello di aromatiche, frutti e legumi (spero). 


Al di là del risultato, e del balcone momentaneamente devastato dalla terra, l'esperienza del giardinaggio è una di quelle che riesce maggiormente a scaricare le tensioni e farci riappropriare di antiche conoscenze che, visti i tempi, dovranno essere messe al più presto nel curriculum delle nostre vite.


Nell'attesa di avere in futuro un vero pezzettino di terra con il quale lavorare, questo per me è già molto!


Mung e CicerchiaLuffa cilindrica


 


 


 


 


 


 


 


 


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giovedì 2 giugno 2011

La "moda" del barefooting

Non leggo molto di frequente le riviste femminili, ma ogni volta che ne apro una trovo molteplici spunti per nuovi post.


Il primo dei tanti, e al momento maggiormente privo di senso, è quello trovato su Donna Moderna che tratta della "nuova tendenza" diffusa tra i vips nostrani e oltreoceano del camminare scalzi.


L'articolo ahimè, è abbastanza ricco di notizie superficiali e poca sostanza; non parliamo poi del fatto che il movimento dei barefooter o dei camminatori scalzi ha l'età dell'uomo sulla terra, cioè qualche milione di anni. Ci sembra un'età abbastanza avanzata per avere il coraggio di sostenere che è una moda, come superficialmente fa l'autrice dell'articolo. Un breve richiamo alle tesi di diversi medici secondo i quali indossare scarpe fa male alla nostra colonna e alla nostra struttura muscolo-scheletrica in toto, e via di nuovo verso due pagine che con l'informazione non hanno nulla a che vedere. La chicca finale dello scritto, è data dal fatto che le ultime righe sono dedicate ai tragici inconvenenienti dello sventurato barefooter: pericolo di prendersi il tetano, i funghi, di pestare siringhe o cocci di vetro, di vedere i nostri piedi imbruttirsi e imbarbarirsi day by day. Per non parlare del fatto che, orrore, potrebbero "potenziarsi". Che se qualcuno mi spiega che male c'è a potenziare il nostro corpo forse capisco meglio questo immane pericolo.


Camminare scalzi non è una moda, ma una necessità che tutti gli esseri umani devono tener presente: non ce ne frega nulla dell'attrice che per uno scatto in più farebbe di tutto, non servono a nulla articoletti da quattro soldi... Ci sono fior di studi che comprovano i danni causati da scarpe troppo alte o troppo strette o troppo scarse o troppo e basta; se non crediamo agli studi, guardiamo i nostri piedi e vagliamo lo stato di salute del nostro apparato. Poi, con molta calma, reimpariamo a camminare e facciamolo da scalzi.


Se l'articolo non rende assoluta giustizia alla pratica del camminare scalzi, dobbiamo però sapere che i nostri piedi vengono compressi, deformati, inscatolati in innaturali attrezzi di tortura: li chiamiamo scarpe, ci siamo convinti che senza non potremmo vivere, ma sappiamo bene che per diverse ore al giorno potremmo farne a meno. Non dico sulla metro o in ufficio, ma in casa in palestra o quando andiamo al parco, controlliamo bene la nostra porzione di verde (per evitare gli orrori in agguato) e godiamoci finalmente la terra sotto i piedi!


Link: http://biosipuo.myblog.it/archive/2009/02/16/a-piede-libero2.html


http://www.macrolibrarsi.it/libri/__a-piedi-nudi.php