mercoledì 30 dicembre 2015

I buoni propositi

Sono gli ultimi giorni dell'anno, e alzi la mano chi tra noi non ha mai detto:
"dall'anno prossimo, cambio vita... dall'anno prossimo vado in palestra/mi metto a dieta/la smetto di avere questi atteggiamenti..."

Il mese di dicembre è un mese quasi magico, e anche grazie al fatto che le giornate più corte dell'anno ci mandano un pochino in letargo, siamo più propensi a pianificare il nostro futuro e a credere che sia facile realizzare i nostri piani.

In effetti, a ben pensarci, una buona pianificazione è una strategia vincente per raggiungere gli obiettivi che ci poniamo: costituisce le fondamenta del successo.
Ma spesso, alla fine dell'anno e al momento dei bilanci, le nostre belle pagine di "budget plan", ci danno un ben misero ritorno in termine di risultati.

La palestra per la quale avevamo fatto l'abbonamento annuale, l'abbiamo abbandonata in primavera, il corso d'inglese che tanto volevamo fare, ce lo siamo dimenticati alla terza lezione, e la dieta... meglio non parlarne.

Perchè i bilanci sono sempre così castrofici, rispetto alle certezze che ci accompagnano quando stiliamo un preventivo?

Passo più lungo della gamba?

Una prima ipotesi, potrebbe essere che facciamo il passo più lungo della gamba; che gli obiettivi che ci poniamo siano in effetti difficilmente raggiungibili. Se il nostro obiettivo è quello di imparare il cinese in 5 mesi, o dimagrire sette chili in sette giorni, diventeremo avide prede di facili entusiasmi, e di rapidissime e cocenti delusioni che ci faranno desistere dagli intenti.

Un valido aiuto nel progettare i nostri intenti, potrebbe essere quello di valutare degli obiettivi reali e di applicare la politica dei piccoli passi: stabilire una tabella di dimagrimento più realistica (ad esempio, 3 kg in un mese), o dedicare un'ora a settimana allo studio che più ci interessa.

Gli obiettivi che ci poniamo ci appartengono?

La seconda ipotesi che porta all'insuccesso della nostra lista dei buoni propositi, è quella che ci porta a formulare intenti che non ci interessano veramente.
Ok, avevamo promesso a nostro nonno che saremmo andati una volta a settimana a teatro (o alla nostra compagna che saremmo andati volentieri al corso di salsa un giorno si e uno no), ma... è quello che vogliamo veramente?

Nell'elenco delle azioni per il nuovo anno, non c'è posto per attività che non ci piacciono e che faremmo solo per fare un "favore" a chi vogliamo bene. Ci tolgono energie e distolgono dagli obiettivi più importanti per noi. In questo caso, un poco di sano egoismo è fondamentale per arrivare ai "nostri" risultati.


Gli obiettivi che ci poniamo sono troppi?

Abbiamo forse fatto una lista di buoni propositi chilometrica, che richiederebbe giornate di 48 ore?
Abbiamo pianificato le nostre giornate fino all'ultimo minuto, senza lasciare molto tempo all'ozio e dai, anche alla noia profonda?  Falliremo prima di partire.

Gli obiettivi devo essere pochi, ma buoni. E' inutile disperdere le energie in tanti rivoli, che già ci pensano gli impegni quotidiani a remare contro di noi.
Se abbiamo un sovraffollamento di buoni propositi, è meglio stilare una classifica dei primi tre, e rimandare i successivi al prossimo step.
Se gli obiettivi sono importanti, ad esempio ritrovare la forma fisica perduta, sarà sufficiente uno solo di essi ad impegnarci per tutto l'anno, e sarebbe inutile caricarci di ulteriori preoccupazioni. Meglio concentrarci sulle battaglie importanti, che correre appresso a tutto.


Come mantenere i buoni propositi?

Ecco un breve elenco:

  • per i primi 15 giorni, resistere e portare a termine i compiti che ci eravamo prefissati. Basta poco per acquisire nuove abitudini, l'importante è vincere nei primi giorni i sabotaggi che ci autoinfliggiamo.
  • tenere un diario da aggiornare se possibile quotidianamente, bastano due o tre minuti al giorno
  • ogni settimana, fare un riepilogo dei risultati: meglio capire subito se stiamo sbagliando o se ci stiamo lasciando andare e correggere il tiro in corso d'opera, piuttosto che abbandonare tutto.
  • ascoltare le nostre sensazioni e il nostro corpo: se dopo i 15 giorni non abbiamo dei feedback positivi, o abbiamo sbagliato pianificazione o l'obiettivo è troppo pesante per noi. E' necessario rivedere qualcosa o, nel caso da questo non dipenda la nostra salute, puntare ad altro.
  • rispettare le scadenze e gli impegni: ci siamo prefissati di andare tre volte a settimana in palestra? Portiamo a termine il compito nonostante le mille tentazioni (inviti, feste, piccoli raffreddori) che a lungo andare farebbero saltare in aria i nostri piani.
  • gratificarsi per i risultati raggiunti, possibilmente con nulla di eccessivamente calorico o dannoso per la nostra salute (tipo un salto col bungee jumping)


Buon anno a tutte e tutti, che questo sia veramente l'anno in cui vedremo realizzati tutti i nostri sogni e propositi :-D



lunedì 21 dicembre 2015

Gli articoli miracolosi

Negli ultimi anni, una serie infinita di blog e siti è andata via via imponendosi all'attenzione degli utenti del web; questa massa infinita di informazioni più o meno verificate, più o meno inventate, più o meno rimpallate di sito in sito solo per aumentare il numero di letture, ha la peculiarità di proporci miracoli ad ogni angolo.
Con la tecnica del marketing da quattro soldi che ormai si sta diffondendo a macchia d'olio, i novelli editorialisti compongono un titolo eclatante che promette mirabolanti contenuti, ma lo sforzo spesso si ferma alla meraviglia del titolo.

Come l'ultimo che mi è capitato di leggere:
"Potresti avere 15 kg di tossine nel tuo intestino, ecco come spazzarle via"

Diciamo che il titolo incuriosisce, e il fatto che molti organismi siano effettivamente pieni di tossine a partire dall'intestino, costituisce un invito ad andare avanti nella lettura.
Il post in sé è abbastanza anonimo, così come lo è la miracolosa soluzione ai problemi di una intera vita:
prendere da uno a tre cucchiai di farina di semi di lino mescolata ad un poco di kefir per almeno tre settimane.
Questo "efficacissimo" rimedio porterebbe una serie infinita di benefici e a una sicura (?) rimozione delle tossine dal nostro corpo.

Ammesso e non concesso che questo rimedio possa effettivamente funzionare, vi dico subito che un organismo con forte disbiosi, o con transito intestinale difficile, rischia con questo metodo di avere un peggioramento dei sintomi oltre che ad aggiungerne altri.
La quantità di fibra contenuta nei semi di lino può infatti fare, se non adeguatamente lubrificata e irrorata, fare ancora più massa che non si riuscirà ad espellere, provocando gonfiori, stitichezza, nausea e altri bei sintomi.
Scrivo questo perché ho letto le testimonianze dirette di chi lo ha provato, e se dovessi fare una statistica, le possibilità di successo sono scarsissime.

Di articoli mirabolanti ce ne sono molti, di risultati efficaci e duraturi nel tempo molto pochi,
Il faidate, in questi casi, è peggio dell'inazione.

Cosa fare, quindi, di fronte all'ennesima fonte che ci promette la risoluzione dei nostri problemi di salute?
Innanzitutto, informarci e verificare da dove proviene.
Poi, considerare che non tutte le soluzioni proposte sono adatte ad ognuno di noi ma che anzi potrebbero causarci problemi.
Successivamente, imparare a conoscere il nostro corpo e a sentire ciò di cui ha bisogno, ma anche a selezionare razionalmente: se seguiamo ad esempio una monodieta ricca di carboidrati e povera di fibre, ce ne dovremmo rendere conto da soli che stiamo percorrendo una strada sbagliata, prima ancora che sia il corpo a protestare.
Se possibile, sarebbe bene iniziare a documentarci e a fare del nostro benessere un argomento di studio: di testi seri sull'alimentazione ce ne sono tanti, sempre che non andiamo appresso a quelli che vanno in giro a fare i bastian contrari.
E per ultimo, rivolgiamoci a qualcuno che possa aiutarci ad acquisire una consapevolezza, alimentare e corporea, e che possa darci degli strumenti con i quali lavorare per tutta la vita.




giovedì 22 ottobre 2015

Sii il cambiamento che vuoi vedere nel tuo mondo

Negli ultimi 14 mesi sono stata protagonista di un curioso esperimento sociale, da me iniziato non volontariamente ma che mi ha dato molti spunti di riflessione.


Con tutte le limitazioni del caso dovute all'ambiente particolare o alla piccolissima fetta di popolazione "presa in considerazione", quello che ne è uscito fuori non è decisamente confortante. O forse, si.

Dopo tutti questi mesi, sono arrivata a prendere seriamente in considerazione l'idea che non bastano l'esempio, le intenzioni o le azioni di un singolo individuo, per cambiare il mondo.
Non è un'ammissione di sconfitta, ma una constatazione che, come dicevo prima, mi darà modo di riflettere, ma soprattutto di indirizzare i miei sforzi verso obiettivi più personali e concreti. Ed è anche molto liberatoria, a ben vedere.

Cominciamo dall'inizio...

Ad aprile 2012 sono stata allocata per una "lunga degenza lavorativa" presso un cliente prestigioso.
Talmente prestigioso da costringere i consulenti plurireferienziati messi a loro disposizione a bivaccare in stanzoni privi di luce e aria naturali, con conseguenze più o meno serie che vanno da cervicalgie e dolori muscolari cronici a polmoniti causati da inadeguata aerazione delle stanze, a danni a carico della vista per la scorretta illuminazione. Passando per problematiche posturali, inquinamenti presunti dell'acqua (si è parlato ad un certo punto di legionella) eccetera.

Un luogo deprimente, che decisamente altera l'umore di chi vi abita numerose ore al giorno, tanto da rendere gli occupanti se non ostili gli uni con gli altri, abbastanza estranei e indifferenti tra di loro.  O, dall'altro lato, a esasperare certi comportamenti, neanche fossimo rinchiusi dentro la casa del grande fratello (*)

Dopo un lunghissimo periodo piuttosto cupo, e complice una delle poche colleghe che questa stanza di 30 persone ospita (al momento 3/4 donne su 30), diversi mesi fa abbiamo  iniziato a comportarci in maniera diversa rispetto al problema ambientale.
Lei ha iniziato a raccogliere fiori di lavanda dal giardino e portarli in stanza, e io l'ho seguita a ruota. Dopo un lungo periodo a fiori, ci è venuta l'idea di tentare di abbellire questa caverna delle streghe.

Ho comprato inizialmente tre vasetti di piante, due me le sono tenute io e una l'ho regalata alla collega. Poi, altri due vasetti, da distribuire ad altri compagni di sventura.
Una delle mie piantine, mi è stata espressamente richiesta da un altro collega, che voleva qualcosa di bello da guardare quando staccava gli occhi dal pc. Ovviamente, lo stesso non ha mai fatto altro per contribuire a questo tentativo di cambiamento, anzi...
Poi sono arrivate altre piantine, a ornare altre scrivanie. Ma sempre per iniziativa delle stesse due o tre persone.

Avevo già iniziato ad "organizzare eventi", coinvolgendo tutti in date particolari: picnic di pasqua e natale, da consumare in loco. 
Ho continuato la mia opera compiendo piccoli o grandi gesti di gentilezza, portando colazioni o riempiendo cassetti di caramelle, senza pensare di aspettarmi qualcosa in cambio.

Ma, come accade in tutti gli esperimenti, esiste il momento in cui si chiude il laboratorio e si documentano i risultati.

Ho notato che il ritorno in termini di "contaminazione" al buon esempio è stato abbastanza povero: la risposta maggiore l'ho avuta dalle donne della stanza, che hanno contribuito alla mia (nostra) iniziativa.
Da parte dei colleghi di sesso maschile, ho riscontrato una leggera partecipazione attiva/reattiva nel momento in cui si è trattato di contribuire a determinati eventi piuttosto che a rimpinguare il cassetto delle caramelle.
Uno in particolare, ha sempre contribuito a tenere "alto il livello".
Ma non c'è mai stato un minimo di iniziativa personale nel momento in cui le "caramelle" che portavo sono finite. Anche quell'unico si è arreso, complice la nostra prossima dipartita.
Di contro, è capitato rarissimamente (se non mai) che qualcuno abbia avuto la lontana intenzione di organizzare a sua volta un "picnic" piuttosto che portare una merenda o quant'altro.
Anzi... nel momento in cui a qualcuno è saltata in mente l'idea di far qualcosa, si è rivolto a me, scaricandomi l'onere dell'organizzazione.
Come se i ruoli di ognuno di noi all'interno di un qualsiasi insediamento o gruppo, fossero fissi e mai intercambiabili. Come se, assegnata un'etichetta ad una persona, la stessa fosse schiava e detentrice assoluta di quel compito o di quell'immagine.

Il tentativo di "cambiare il mondo", quel mondo, è fallito. Prossimi al cambio di guardia, siamo forse tutti abbastanza demotivati e con le pile scariche per cercare di compiere gentilezze o anche solo pensarci. Ma prima? 
Se guardassi l'esperimento da un punto di vista personale, o se mi fossi aspettata qualcosa  in cambio delle mie azioni, sarebbe stata una durissima lezione. 

Ci sono stati dei risultati, ovviamente da me interpretati come più mi pare e piace, e in questo sono confortata dalla fisica quantistica e dalle migliaia di studi che confutano e si smentiscono gli uni con gli altri e che attribuiscono gli esiti di un test dipendenti anche dalla variabile osservatore.

E l'interpretazione che ho dato è che, per quanto possa essere forte la spinta che ci induce ad agire e portare avanti il cambiamento, dobbiamo sempre fare i conti con il materiale umano che abbiamo davanti a noi.
Dobbiamo comprenderne le intenzioni, i desideri, la voglia di andare (se c'è) nella nostra stessa direzione o ad un certo punto di deviare, i limiti e l'interesse che hanno nei confronti di talune tematiche piuttosto che di altre.
Da molto ormai non sono d'accordo con chi, più illuminato di me, dice "sii il cambiamento che vuoi vedere nel mondo". L'unico cambiamento fattibile, assolutamente raggiungibile e che deve esulare da qualsiasi altro tipo di ritorno esterno, è il nostro personale cambiamento.
Questo cambiamento, questa spinta al rinnovo personale, non ha niente a che vedere con il mondo esterno, ma con il nostro personale mondo. Non è un invito all'individualismo, quanto piuttosto a constatare che, dove non ci sono i presupposti per creare, è bene seguire un'altra strada.

La famosa frase, rivista e corretta, sarebbe questa, per me "sii il cambiamento che vuoi vedere nel tuo mondo".
Molto più raggiungibile dell'altra, senza dubbio.





(*) scusate la citazione trash, ma confesso che a suo tempo vidi la prima stagione di questo show e mi è rimasto impresso.


venerdì 9 ottobre 2015

I nuovi schiavi

Ho trascorso due meravigliose settimane di vacanza in un luogo incantevole, pieno di energie e di meraviglie dalla natura.
Ho trascorso queste due settimane senza curarmi dell'abbigliamento, ma avendo molta cura della mia persona e del mio benessere.
Non ho usato trucco, ma creme idratanti e protezioni solari ben dosate; niente tacchi o scarpe chiuse ma ciabatte e piedi scalzi.
Mi alzavo quando il mio orologio lo stabiliva, e facevo due pasti al giorno, con abbondanti colazioni a base di frutta o frullati senza latte e tante verdure al pasto principale.
Ho fatto lunghissime passeggiate, e i primi giorni quasi non mi sentivo più le gambe, e anche riposanti sessioni in spiaggia sotto l'ombrellone.
Ho girato liberamente, senza impegni o vincolo alcuno. 
Mi sono sentita libera, di quella libertà che i carcerati provano durante l'ora d'aria. Era una libertà condizionata: 15 giorni di godimento assoluto, contro i restanti 350 di traffico, impegni, orari ben scanditi, bollette da pagare.
Ho letto e sentito molti pareri, in questi mesi, riguardo l'assurdo sistema nel quale ci infiliamo: lavoriamo come pazzi o in condizioni da pazzi per undici mesi e mezzo l'anno come fossimo criceti che corrono senza senso su una ruota, per poterci (forse) permettere 15 giorni di pausa, nella speranza che questo scampolo di riposo possa darci le forze per andare avanti i successivi undici mesi e mezzo.
Una ruota senza fine, e per le nostre generazioni, senza nemmeno prospettiva di pensione.
Siamo schiavi con una catena al collo corta, anzi cortissima.

Siamo schiavi fin dal momento in cui i nostri genitori ci inoculano i loro pensieri e la loro visione della vita; siamo schiavi quando ci dicono che farsi una famiglia, avere dei figli, un posto fisso e una casa di proprietà ci renderà felici e completi: forse questo schema poteva andar bene 50 anni fa, ma adesso è la causa primaria della nostra schiavitù.
Ogni piccola fonte di spesa, è diventata un'arma nelle mani della società per incatenarci ai nostri doveri: quando abbiamo un mutuo da pagare, le bollette da saldare, un figlio da crescere, la macchina da mantenere... difficilmente potremmo sganciarci da situazioni che ormai ci vanno strette e provare ad essere veramente liberi.
Siamo schiavi dei nostri "desideri" realizzati e di quelli irrealizzati, siamo schiavi della casa che abitiamo, del dovere verso i nostri figli, delle scelte che altri ci hanno imposto.
Siamo schiavi e ci siamo rassegnati. Troppe volte ormai sento le persone che dicono "ringrazia dio che hai un lavoro", abbassando così la soglia d'attenzione su una realtà lavorativa che è atterrente, discriminante, approfittatoria. Ringraziando di avere un lavoro, diamo tutto il potere contrattuale al datore di lavoro, il quale (ricordiamolo sempre) non è un ente benefico e dal nostro lavoro pagato x trae un profitto a volte moltiplicato.

Abbiamo alzato l'asticella della sopportazione a un livello... insopportabile, prendendo lavori sottopagati e a condizioni a volte brutali, pur di portare avanti la nostra vita.
Ma quale vita ci aspetta, se l'unico modo per andare avanti è sopportare, abbassare il capo, e subire?

Subiamo il traffico che ci soffoca e ci ruba tempo prezioso, le amministrazioni che ci prelevano migliaia di euro l'anno e non ci supportano neanche nei servizi basici, subiamo le mode, i tacchi alti, le cravatte che ci strangolano, le case piene di roba che non ci serve.

E' questa la ragione per la quale ci siamo evoluti?

Per guarire dalla schiavitù, la chiave sola e unica è la consapevolezza.
Dobbiamo essere consapevoli che ogni azione consumistica ha una conseguenza economica per noi, la quale presuppone che si abbia una fonte di reddito o si sia in qualche modo solvibili.
Ogni desiderio, anche quello per noi più nobile, rischia di incatenarci se non abbiamo la visione chiara di come gestirlo e impedirgli di soffocarci.

Vogliamo essere schiavi, o padroni della nostra vita?




giovedì 24 settembre 2015

Life is too short

"Life is too short to spend it with negative people"

Questa frase, trovata tra le tante perle di saggezza che il web ci offre quotidianamente, giunge a compimento di una interessante conversazione avuta in merito al concetto di amicizia ma, più estesamente, al contributo in termini di crescita esperienza e arricchimento generale che una relazione di amicizia può dare.
Un anonimo sul web ha scritto: 
"L'amicizia, per alcuni, è il sentimento più bello che si possa provare nella vita, perché è un rapporto alla pari basato sul rispetto, la stima, e la disponibilità"

E' un'altra considerazione che mi sento di condividere, sebbene questa idea parta dal presupposto che ogni persona sulla terra che si relaziona ad un'altra, abbia ben presente in mente (e nel cuore) questo concetto.
Un rapporto alla pari basato sul rispetto, la stima, e la disponibilità: non sempre è così, e solo una piccolissima percentuale di amicizie si sviluppa mantenendolo in equilibrio.

A volte, inoltre, attribuiamo alla parola amicizia tutta una serie di interazioni con l'altro che poco hanno a che fare con essa: entusiasmo per la novità, infatuazione, opportunismo, romanticismo, abitudine,...


Ogni persona che ci capita davanti, ha sicuramente qualcosa da darci, anche nelle storie che ci hanno fatto arrabbiare di più; è un dato di fatto, come è un dato di fatto che non è necessario soffrire per imparare delle lezioni.

Al di là di ogni considerazione razionale, o spesso solo inconsapevolmente irrazionale, tutti noi abbiamo uno strumento prezioso e infallibile per capire se chi abbiamo davanti è un esempio negativo e fonte di disagio. Talmente semplice da sembrare banale, ed è forse per questo che troppo spesso non ne teniamo conto.
Basta metterci in ascolto delle nostre sensazioni, dare credito all'emozione che ci suscita la presenza o l'idea della persona che abbiamo davanti.
Basta farlo consapevolmente e senza giudizio, ma con la sola intenzione di capire cos'è meglio per noi. 
Basta esercitarsi e partire con piccoli riscontri, tipo il verduraio sotto casa o la signora dell'edicola che ci vende il quotidiano. 
Basta imparare ad ascoltarsi, senza filtri e sensi di colpa per quello che stiamo per fare.
Non c'è la persona buona o cattiva (come concordavamo ieri con un amico), c'è solo da sapere se questa persona va bene o no per la nostra crescita, per noi.


Basta imparare a lasciare andare, e basta avere sempre la consapevolezza che il passato non può incatenare il nostro presente.

Le persone che vengono definite negative, spesso non vanno bene nemmeno per loro stesse; questo non è un concetto assoluto applicato allo specifico individuo, ma può rappresentare un momento contingente che attraversano: c'è chi ti succhia energie perché è emotivamente immaturo, c'è chi cerca attenzioni da tutti perché si sente solo anche in mezzo a una folla, c'è chi fa del gioco di forza il suo modo per gratificarsi... 
E' ovvio che alcuni comportamenti, applicati su larga scala, portano la persona a stabilizzare certi atteggiamenti, e ritrovarsi a ripetere sempre gli stessi errori.
Questo, non possiamo saperlo.
Possiamo però sapere cosa sentiamo quando ci capitano questi episodi, e stabilire in tutta tranquillità d'animo se per noi qualcuno è nocivo o benefico.

Se riuscissimo ad applicare ciò su larga scala, le "persone negative" non avrebbero presa sulle vittime che puntano, e potremmo indirettamente far loro del bene perché a quel punto saranno costrette a cambiare; in meglio, mi auguro di cuore.

Quindi, impariamo a scegliere, perché la vita è troppo corta per passarla con persone negative, troppo corta per recriminare o arrabbiarsi.
C'è un mondo di esseri umani là fuori, non resteremo soli se impareremo a volerci bene e rispettarci.
 
Foto: copertina del libro Arcobaleno e gli abissi marini (M. Pfister)

lunedì 21 settembre 2015

Chi si ferma è perduto

Mai come negli ultimi mesi, il mio corpo mi ha dato una serie di segnali volti tutti nella stessa direzione: muoviti, muoviti, muoviti.

A ottobre scorso ho ricominciato a fare sport con la prepugilistica, poi mi sono comprata il tappeto elastico, e incredibilmente, i segnali di dolore insofferenza alla sedentarietà e acciacchi vari, si sono acuiti e moltiplicati.
Si sono acuiti per due motivi: il primo è che sono stata troppo tempo ferma senza fare nulla di consistente. Il secondo motivo, è che quando ricominci a muovere il tuo corpo, riesci a percepire e interpretare correttamente quei segnali che prima ti passavano semplicemente davanti agli occhi senza essere colti, avvolti da una coltre di indefinitibile senso di essere entrato nel club degli "acciacchi della mezza età".
Quest'estate, quindi, non mi sono fatta mancare una pesantezza di gambe davvero... pesante, proprio come quella delle matrone di una volta. E, di certo, la mia schiena si è risentita di non avere più le dovute attenzioni, pertanto ha iniziato a fare le bizze; tutta la colonna, in realtà, dalla prima vertebra cervicale (coinvolgendo anche l'atlante) fino al coccige, propagandosi per le gambe e arrivando fino ai metatarsi, è stato tutto un manifestarsi di dolori e disagi.

Nella meditazione vipassana, quando sei all'inizio dell'avventura, hai tutta una serie di distrazioni che il cervello mette in atto per fuggire dal "qui e ora": sei seduto e ti comincia a prudere il naso o ti viene un crampo, stai lì a meditare e ti viene in mente che non hai spento il gas, ti concentri sul respiro e improvvisamente inizi a tossire... Tutto pur di non uscire dagli schemi automatici al quale è abituato (il cervello) e finalmente fare qualcosa di diverso.
In poche parole, cerchiamo di sabotarci.
Lo stesso, quando si inizia a muoversi: si presentano alla nostra porta dolori di trent'anni fa, contratture dimenticate, acuirsi di sintomi cronici.  E' ovvio che se abbiamo patologie o sospettiamo di aver esagerato con le flessioni, sarebbe da pazzi trascurare il tutto e continuare imperterriti a fare movimento.
In questo caso, farsi seguire da un professionista che conosce le nostre problematiche, ci risparmierà guai seri.
Per tutti gli altri, quali che siano i tentativi di fuga che cervello e corpo mettono in atto, l'imperativo è solo uno: movimento.
Di recente, ho visto un simpatico video sui danni della sedentarietà.
Il titolo dell'articolo declamava "Perchè la sedentarierà è il nuovo fumare", ad indicare che il nuovo fronte di battaglia della nostra salute si è spostato dall'abitudine dannosa di introdurre nei polmoni sostanze tossiche, a quella altrettanto dannosa di immobilizzare arti e organi interni.

"I nostri corpi siedono per molto più tempo di quanto non ne passino in movimento. E, semplicemente, non sono stati progettati per una esistenza sedentaria", dice il video, che vi invito a guardare:


"Pertanto, se ogni centimetro del nostro corpo è pronto per e in attesa di muoversi, cosa succede quando non lo fa?"

Alcuni studi, ripresi in un articolo del New York Times nel 2014, arrivano addirittura ad affermare
"... più ore le persone rimangono sedute, più aumentano le probabilità di contrarre diabete, sviluppare malattie cardiache e altro, e potenzialmente morire prematuramente - anche se le stesse persone praticano regolare esercizio fisico"  (http://well.blogs.nytimes.com/2014/09/17/sit-less-live-longer/?_r=0)

Questa alza di molto l'asticella dell'importanza del movimento, perchè ci spinge a pensare (ragionevolmente) che non è sufficiente praticare uno sport assiduamente per qualche ora a settimana, per scongiurare qualsiasi tipo di malattia occidentale (= causata dalla sedentarietà).
In definitiva, e in pratica (molta pratica), l'imperativo è: meno seduti, più sudati.

Paradossalmente, potremmo arrivare a pensare che l'esercito di impiegati da ufficio (si, proprio quelli seduti in cubicoli ristretti o in enormi capannoni, proprio come i polli allevati in batteria o "a terra"), è soggetto ad un rischio di sviluppare malattie professionali più alto rispetto ai poveretti che sono costretti in miniera, o che senza fare scomodi paragoni, diventeranno una razza in via di estinzione.

In questi mesi, il tam tam di notizie sui benefici del movimento si sta spargendo per il globo, qualsiasi rivista dedica almeno un trafiletto all'importanza di non soccombere alla sedia, e sembra che gli studi in merito siano in crescita. E sembra, anche, che tutti sostengano che stare fermi accorcia la vita.
Davvero la scoperta dell'acqua calda, ma se i mass media sono riusciti a convincere nel corso dei decenni le persone di moltissime idee strampalate, perché non dargli ascolto anche questa volta?

L'imperativo che ognuno di noi dovrebbe stamparsi nella coscienza, è quello di muoversi il più possibile e non arrendersi ai primi acciacchi. Almeno tre ore al giorno, anche spalmate durante la giornata, e non necessariamente esercizi spossanti: basta camminare, allungarsi, camminare, fare delle torsioni, camminare, piegarsi e distendersi, camminare.

Chi si ferma è perduto, e cade malato.


lunedì 22 giugno 2015

Di cani, vampiri, e morsi umani

Diversissimi anni fa, fui attrice non protagonista di un brutto evento.
Andavo tutti i giorni a lavorare in un luogo per raggiungere il quale dovevo percorrere una strada provinciale molto grande.
Tutti i giorni mi fermavo a fare colazione in un bar lungo la strada, dove c'era uno spiazzo molto grande.
Avevo stretto amicizia con una cagnolina simpaticissima, tutte le mattine veniva a salutarmi; insieme a lei, i suoi cuccioli. Uno dei quali era uno spasso, mi faceva sempre un mare di feste.
Una mattina, vidi la cagnolina, disperata, attraversare ripetutamente la strada, guaendo e piangendo senza letteralmente sapere cosa fare.
Mi avvicinai, e l'animale mi fece capire di accompagnarla dall'altra parte della trafficatissima via: il suo cucciolo era stato investito, e chiunque fosse stato si era guardato bene dal fermarsi.
Io volevo soccorrerlo, ma ogni volta che mi avvicinavo, tentava di mordermi; qualsiasi cosa facessi, il suo unico obiettivo era quello di difendersi dalle mie mani. Il cucciolo morì pochi minuti dopo, lo strazio della madre ve lo risparmio.

Il cagnolino, terrorizzato dallo shock e dal dolore, non è riuscito a capire che stessi cercando di salvargli la vita; povera bestia, cercava di mordere la mano tesa per aiutarlo, in uno strenuo, ultimo tentativo di difendersi.


Ho ripensato spesso a quest'episodio, lo faccio ogni volta che la vita mi mette di fronte ad un essere vivente in difficoltà.

Nel 99% dei casi, si tratta di esseri umani.
Persone con piccoli o grandi problemi, a me vicine e che, per chissà quale senso del dovere o desiderio di salvare il mondo, ho cercato di aiutare.
Persone smarrite, impaurite dalla vita e da quello che comporta l'affrontare le proprie paure.
Persone che mi hanno tolto energie, che hanno "preteso" attenzioni, aiuto, comprensione. E che, terrorizzati dalla loro stessa ombra, hanno reagito come quel cagnolino: cercando di mordermi.

Se dicessi che tutti si sono comportati in questo modo, ovviamente sarei una megalomane con evidenti problemi sociali. Quindi, e per fortuna, non sempre va così.

Quel che è certo, comunque, è che coloro per i quali mi sono maggiormente spesa, mi hanno ripagata in questo modo.

Ora... se è vero che la vita o la psiche ti ripropongono gli stessi schemi fino a quando non riesci a sbloccarli e superarli come nei livelli dei videogames, questo non giustifica chi cerca di morderti.

Tralasciando qualsiasi velleità psicoanalitica, quello che io posso pensare  è che una persona in difficoltà non sempre ha bisogno di vero aiuto, ma di frequente necessita di una spalla su cui riversare i suoi dolori, senza il pensiero di volerli davvero risolvere.
Piange, strepita, si sfoga e si dispera, preleva energia fresca dall'orecchio che sta li in ascolto, e se ne torna ricaricata alla sua vita di sempre, senza la minima consapevolezza di quello che ha fatto a sé e a chi la stava "consolando".
Non vuole risolvere il suo problema, in fondo anche i problemi possono essere delle comode stampelle con le quali trascinarsi nella vita: se io peso 200 kg e continuo a mangiare 500 grammi di lardo ogni giorno, potrò mai dar retta a chi mi dice di mangiare 500 grammi di verdure? In fondo, perchè dovrei soffrire i morsi della fame? Si sta così bene con lo stomaco pieno...
Ma, vado avanti lungo la strada della rovina e continuo a piangere perché sono obesa, perché ho problemi di salute, di relazioni: molto più facile.

E capita, quando l'ascoltatore dice loro qualcosa di spiacevole, le toglie l'orecchio, o cambia le regole del gioco, che la paura si impossessi di queste persone e che le spinga a staccare il cervello razionale a favore di quello rettile; "riconoscono" il loro nemico interno nell'interlocutore che hanno davanti, di fatto trasferendo il problema al loro esterno, e reagiscono attaccando, proprio come i nostri antenati rettili, o come il povero cagnolino morente.

Esseri umani dotati di logica, razionalità, capacità cognitive infinitamente superiori a quelle di un cucciolo di cane, reagiscono nello stesso identico modo, creando però danni decisamente più pesanti.
Esseri che si credono superiori al resto del regno animale, sono così intrappolati dalle loro paure e dalle loro zone di comfort, che attaccano coloro che (su loro specifica richiesta) cercano di tirarli fuori dalle paludi: esseri che valgono meno del cagnolino che ho cercato di salvare, infinitamente meno.

Non sempre è facile capire quando tirarsi fuori da questi buchi neri umani, non sempre riusciamo a percepire la trappola.

Devo riconoscere però che il mio segnale d'allarme, il ricordo del cagnolino morente, si attiva sempre quando mi trovo di fronte a queste persone.

La lezione che probabilmente devo imparare dalla vita è quella di mollare i casi disperati, e a non farmi coinvolgere più di tanto da coloro che tentano di attingere alla mia riserva di energie.

Per queste persone, invece, mi resta poco da dire.
Che si comportino in questo modo consapevolmente o no, mi auguro che trovino la loro strada senza vampirizzare il prossimo della lista.


Nelle foto, un pesce vampiro.





sabato 18 aprile 2015

L'Italia dei finti sorrisi

C'era una volta un popolo di santi, poeti, navigatori.
Poi è diventato, per la costituzione, un popolo di lavoratori, per trasformarsi gradualmente in un popolo di allenatori di calcio, politici da salotto, radicalchic, opinionisti.
Da qualche anno però, siamo diventati anche il popolo dei facebookers, e iconizziamo le nostre vite attraverso infiniti scatti/autoscatti da tramandare ai posteri. Vista la qualità media, potremmo solo tramandarla ai nostri posteriori...

Comunque sia...chiunque di noi sì è fatto almeno un selfie o ha messo una sua foto su una qualsiasi piattaforma web, in questo non c'è nulla di strano; la cosa interessante da notare non è tanto la foto in sé, che potrebbe essere un capolavoro artistico come una cagata pazzesca, quanto il "backstage" che spesso si nasconde dietro troppi, numerosi sorrisi di plastica.
Quando qualcuno sorride, non si limita a tirare in su le labbra e mostrare i denti: quello lo sanno fare anche gli animali, che utilizzano i nostri stessi muscoli appositamente per mostrare le aguzze armi che hanno in bocca e trasmettere aggressività. Se ci fate caso, in molte foto che vediamo (di selfie o meno) possiamo riconoscere un sorriso finto semplicemente dal fatto che chi lo "regala" al mondo arriccia il naso e mostra i denti: esattamente come fa un animale in procinto di attaccare o che sta portando avanti una minaccia.

Ci sono persone che riempiono i loro spazi virtuali con queste foto terribili, che mettono paura e che le rendono più simili a degli squali piuttosto che alle persone felici e spensierate che vorrebbero apparire.
Ho visto foto con sorrisi talmente disperati da farmi salire le lacrime, con occhi che facevano trapelare l'inferno ma con la bocca all'insù.

Ma nella netiquette dei social network, falsa proprio come la serie di regole che ci portiamo appresso nel mondo fisico, ci affrettiamo a mettere i nostri like per compiacere il prossimo. Quel prossimo che, una volta scattato il selfie o fattosi fare la foto, ritorna nel suo mondo assolutamente diverso da quello che si è dipinto come "immagine di copertina"  (o di facciata).

C'è una frase, attribuita a Benigni, che desidero riportarvi:
"Ridi sempre, ridi. Fatti credere pazzo, ma mai triste. Ridi anche se ti sta crollando il mondo addosso, continua a sorridere. Ci sono persone che vivono per il tuo sorriso e altre che rosicheranno quando capiranno di non essere riuscite a spegnerlo"

Se posso permettermi, e con tutto il rispetto per Benigni, questa è una clamorosa, emerita, gigantesca stronzata.
Una stronzata creata dai condizionamenti che la cultura ci impone: è così brutto, quando siamo tristi, se gli altri scorgono il nostro vero stato d'animo? Magari potrebbero darci una mano, aiutarci se capiscono che abbiamo un problema.
E' meglio un sorriso mostruoso, che essere sé stessi una volta tanto?
Ma soprattutto, siamo proprio sicuri che chi ha spento il nostro sorriso sià lì a rosicare e a vedere quelli finti che propiniamo per facciata?

Non sarebbe meglio essere onesti, ogni tanto?


Il sorriso di una persona è sacro, è la conseguenza di uno stato d'animo positivo, di un'idea brillante, di una battuta appena sentita, di un'emozione che accende il cuore. Il sorriso di un essere umano viene da dentro e porta fuori queste sensazioni: gli occhi si illuminano, il viso si distende, e i denti mostrati appaiono come un invito alla pace piuttosto che all'attacco.
Il sorriso vero contagia chi ci sta intorno, e lo riconosciamo subito.
Ma per "educazione" e condizionamenti culturali, accettiamo anche quelli finti che "non sta bene far notare le cose che stonano".


E' meglio un sorriso vero ogni cento anni che diecimila sorrisi finti ogni tre secondi.
E' meglio una singola foto che cattura la nostra attenzione delle tante che cercano di ostentare ciò che non si ha dentro.
Chi si scatta foto con finti sorrisi, avvelena anche te.
Se non hai il coraggio di dirgli di smettere, abbi la dignità di non compiacerla con dei pietosi like.




domenica 22 marzo 2015

Non cambiare mai

Dodici anni fa circa, lungo il tortuoso percorso che è la mia vita, ho incontrato una persona meravigliosa.
Un raggio di sole così luminoso e vivido da lasciare una traccia indelebile a distanza di tanti anni.
All'epoca ero una simpatica e cinica testa di cazzo, e coglievo ogni occasione per scaricare con il mio sarcasmo la rabbia che covavo nei confronti del mondo. Spesso la gente rideva, non capendo quanto in realtà non la stessi semplicemente prendendo in giro ma aggredendo e denigrando ferocemente, ma questo è un altro argomento...
La persona in questione era un ragazzino di 22 anni, con il sorriso più bello e vero che abbia mai incrociato il mio sguardo. Era il sorriso di un bambino felice e pieno di vita, sicuro delle sue forze, che si fissava degli obiettivi e li raggiungeva perchè "così vanno le cose, tu decidi ti muovi in quella direzione e prosegui".
Lui mi ha fatto uno dei regali più belli che mi sia mai capitato di ricevere, ha creduto in me quando io neanche sapevo chi fossi.
Piano piano ha smontato il mio cinismo, lasciando in me copiose tracce di sarcasmo (quello non andrà mai via), ma facendomi vedere un aspetto che io avevo sempre trascurato: la mia capacità di accogliere e "vedere" le persone con le quali entro in contatto.
Con lui ho anche fatto una fantastica scoperta, di quelle che ti cambiano la vita: ho imparato a verbalizzare l'affetto e l'amore che nutro nei confronti di chi mi è caro.
Ricordo ancora come se fosse oggi, un giorno stavamo lavorando e lui mi dice
"Senti, ma tu mi vuoi bene?"
Io stavo per dargli una delle mie solite rispostacce ciniche, ma poi l'ho guardato dritto negli occhi e gli ho detto
"Ti voglio un mondo di bene"
Per come ero abituata, pensavo mi si sarebbe aperto il pavimento sotto i piedi che mi avrebbe inghiottito immantinente, e invece... sorpresa delle sorprese, ho ricevuto in cambio un sorriso che non dimenticherò mai.
Un sorriso che anche adesso a distanza di anni mi conforta quando mi sento un po' giù, perchè quello è stato uno dei momenti che hanno cambiato la mia vita in meglio.
Quel giorno gli dissi "Ti prego, resta così come sei, non lasciare che la vita ti abbatta, non cambiare mai".

Un anno dopo, ero in ferie al mare quando i colleghi mi hanno chiamata per dirmi che quel ragazzino meraviglioso era morto.
Quella volta la terra sotto i piedi mi si aprì per davvero, ma purtroppo non mi inghiottì.

Non c'è modo di spiegare la rabbia che si prova di fronte ad un'ingiustizia grande quanto quella di una morte inutile come la sua, e non c'è modo di descrivere il dolore per una bellissima vita spezzata troppo presto.
Troppe volte ho pensato e ripensato alla frase che gli dissi, "non cambiare mai", di come fosse stata tragicamente profetica: non sarebbe mai cambiato, purtroppo.

Ma al di là del dolore che ancora c'è a distanza di oltre dieci anni, e con molte altre esperienze sulle mie povere spalle, i regali che mi ha fatto sono rimasti in me, e sono cresciuti insieme a me.
Se io non gli avessi detto il bene che gli volevo, me ne sarei pentita. Da allora mi premuro sempre di esprimere i miei sentimenti, anche a costo di sembrare ripetitiva: credo che sia importante dire alle persone quanto le amiamo, e altrettanto importante sentirselo dire.

Grazie a lui, ho imparato a sorridere: ti cambia la giornata, garantito. E cambia il clima intorno a te.

Non ho perso la mia vena combattiva e il sarcasmo, e sebbene a volte mi sia un bel po' smarrita lungo la strada, ho sempre ricordato quello che il ragazzino aveva fatto per me: spesso non riusciamo a credere in noi stessi o a scorgere quanto di bello abbiamo dentro, a volte però basta che qualcuno creda sinceramente in noi per darci la spinta giusta a vederci da un'altra prospettiva.
Avendo io uno spiccato spirito di osservazione, mi capita di frequente di fare attenzione sia ai difetti che ai pregi delle persone. E' molto istruttivo notare quanto non ci rendiamo conto del potenziale che abbiamo dentro e della resistenza che facciamo se qualcuno ce la mette davanti agli occhi.
Certo, per carità, a guardare dentro parecchie persone si vede solo il segnale di fine trasmissione dei vecchi canali rai, ma a quel punto non è necessario dire proprio tutto al prossimo :-P


Se il mio amico fosse ancora vivo, non gli augurerei però di "non cambiare mai"
Cambiamo  idee, liquidi corporei, aria nei polmoni, lavoro, partner, taglio di capelli, gusti letterari...
Ed è nelle leggi di natura cambiare, modificarsi, evolvere.
Quello che dovremmo fare è invece mantenere la nostra interezza, o integrità, non smettere di credere in noi stessi e non farci vincere dalla paura.
Il mio amatissimo collega non ci è arrivato a farsi piegare dalla vita, dalle mille paure che attanagliano i nostri pensieri e guidano i nostri comportamenti: non ha dovuto indossare il vestito di Fantozzi per mantenere il suo posto di lavoro, o piegare la testa per pagare il mutuo di case le rate del telefonino e il leasing della macchina, non è dovuto diventare un borghese con una fede al dito perchè qualcuno lo ha convinto che farsi una famiglia è la naturale e unica evoluzione di un essere umano.

Se fosse ancora vivo gli direi:
"Vivi la tua vita, soffri, fai il bastardo, fai tutte le esperienze possibili ma rimani sempre fedele a te stesso. Ascolta te stesso, i segnali che ti arrivano, e non tradirti mai. Non fare quello che il resto del mondo fa per convenzione noia o abitudine, ma quello che senti possa andar bene per te. Rimani integro, non scendere mai a compromessi che potrebbero spezzarti e fottitene di chi non ti capisce. Cambia, e continua a credere in te"

Che è un po' quello che auguro a me e a tutti coloro che hanno il coraggio di provare ogni giorno a essere sé stessi, nonostante il mondo ci remi contro.


venerdì 13 marzo 2015

In memoria di Silvio Paoselli

Silvio Paoselli era un mugnaio.
Girava per i vari siti della fantastica realtà itinerante che è il Mercato Contadino dei Castelli Romani dispensando consigli, offrendo cibo, e vendendo le sue ottime farine.
Silvio aveva un mulino sperimentale, in provincia di Rieti, che si era costruito pezzo dopo pezzo.
Nel suo mulino laboratorio conciliava la tradizione con l'innovazione, e aveva fatto di quella passione la sua ragione di vita.
Si sa come vanno le cose qui in Italia, la passione spesso non paga le bollette e lo Stato sovvenziona solo i "grandi numeri", lasciando privi di ogni tipo di aiuto sociale ed economico migliaia di piccole realtà che con coraggio ed estrema fatica cercano di portare avanti il loro lavoro, lontano anni luce dal mainstream o dagli accecanti riflettori di eventi per le allodole (vedi Expo).
Silvio era in difficoltà, e le banche si sono prese il suo mulino, vendendolo all'asta.
Chi lo ha comprato gli ha persino impedito di riprendersi l'antica macina appartenuta al padre, e poco dopo di Silvio si sono perse le tracce.
Il suo corpo privo di vita è stato ritrovato nel lago del Salto, Silvio si è arreso.
Oggi sono andata, dopo mesi, al mercato Contadino del venerdì, alle pendici di Frascati, e i suoi colleghi mi hanno raccontato la storia di questa persona buona, generosa.
Sono sconvolti, non solo per aver perso un ottimo collega e un caro amico, ma per l'ingiustizia di uno stato che toglie speranza a chi lotta ogni giorno per portare avanti le proprie idee, ma sempre pronto però ad elargire finanziamenti ad amici e amici di amici.
Sanno benissimo, tutte queste persone, che quello che è successo a Silvio può succedere ad ognuno di loro, ma anche ad ognuno di noi. Leggiamo spesso, purtroppo, di persone sommerse dai debiti e prive di qualsiasi aiuto anche morale che soccombono sotto il peso delle responsabilità, dei debiti, dei sensi di colpa.
Lo stato sociale, in tutto questo, dove sarebbe?
Forse solo nello stare sempre e comunque dalla parte del più forte, lasciando marcire idee, sogni, aspirazioni di chi cerca nel suo piccolo di cambiare questi ormai vecchi schemi economici e sociali?
La risposta è scontata, direi...

Quello che i colleghi di Silvio hanno fatto, per non dimenticare il suo sacrificio e la sua meravigliosa
opera, è di avviare una petizione nella quale si richiede che il mulino venga acquistato dalla regione Lazio per renderlo una fattoria didattica e continuare il lavoro di Silvio.

Questo è un invito, per tutti coloro che leggeranno il post, a firmare l'appello, e condividerlo.
Ma è anche un invito a considerare che siamo tutti uniti da un filo invisibile, e che non possiamo sempre voltare la testa quando quello che succede agli altri apparentemente non ci riguarda.


Il link lo trovate qui:
http://www.castellinotizie.it/2015/03/12/il-mulino-di-silvio-diventi-una-fattoria-didattica-partito-lappello-per-il-mugnaio-ucciso-dalla-crisi/

venerdì 27 febbraio 2015

Letame in scatola e altri pensieri

Da parecchi giorni sto elaborando un argomento difficile per me da trattare senza offendere milioni di persone, ma proprio quando mi ero decisa a tentare di buttar giù qualche pensiero sconnesso, ecco che la mia attenzione è stata distolta da un qualcosa di molto più frivolo ma di sicuro decisamente molto deprimente.
L'argomento principale era "fare figli è naturale",
quello frivolo è la merda di animali da usare come concime, inscatolata e venduta a caro prezzo.

Diciamo che in un primo momento accoppiare le due cose mi era sembrato decisamente blasfemo,
ma poi un filo conduttore l'ho trovato: il significato altamente volubile che il genere umano attribuisce al termine "naturale", o alla frase "agire secondo natura".

Ora... lasciate per un attimo che mi scagli rabbiosamente contro tutti coloro che pensano che comprare 750 grammi di letame maturo a nove euro a confezione sia una cosa naturale...
Quale essere dotato di buon senso o di un cervello ragionante può mai pensare di comprare della merda in scatola? E' davvero un'azione da persone furbe o rivoluzionarie (come citato dalla pagina dei venditori) pagare 12 euro al chilo  per della merda?

Certo... qualcuno potrebbe obiettare che spesso paghiamo molto di più di 12 euro per cibo di merda, vestiti di merda, case di merda. E avrebbe tutte le ragioni del mondo, credo.

Ma per un attimo, solo per un attimo, fermiamoci a pensare al contesto nel quale viviamo e siamo immersi fino al collo: riteniamo davvero che sia uno stile di vita "naturale"?

Ci siamo snaturati fin dentro la cellula più nascosta del nostro corpo,  in modi impensabili e di certo innaturali:

- usiamo il nostro corpo, evolutosi nei millenni per consentirci di muoverci per ore e ore, solo per alzarci e sederci da una scomoda seduta
- mangiamo cibi mummificati, additivati, con cotture che alterano la struttura molecolare e provocando molto più spesso di quello che pensiamo malnutrizioni letali (anche e soprattutto in persone sovrappeso)
- rimaniamo chiusi in ambienti con atmosfera modificata e luci artificiali, privando il nostro organismo di banalissimi elementi vitali quali l'aria fresca e la luce del sole
- ci sottoponiamo a stress immani e continuativi che provocano una serie di manifestazioni fisiche imponenti
- siamo schiavi della società dei consumi, che ci spinge a lavorare sempre di più per consumare sempre di più
- ci atteniamo e conformiamo a degli standard fissati da chissà chi per cercare disperatamente di "essere normali", quando in sé questa sarebbe una pura contraddizione.
- eccetera eccetera eccetera

Viviamo in un'epoca del controsenso, dell'eccesso, dell'inconsapevolezza spinta.
Pensiamo di essere evoluti, civili, di vivere secondo natura, e nel contempo buttiamo nel cesso le ultime risorse disponibili sulla terra.

E compriamo merda maturata in eleganti scatole messe in vendita nel tempio dei radical chic.

Troppo spesso, nel corso della mia vita, diverse persone mi hanno chiesto "ma tu figli non ne vuoi?"
E alla mia risposta "no", la replica/rimprovero suonava più o meno " Ma non è normale, è innaturale".

Ecco, al di là delle moltissime considerazioni che io per eccesso di educazione non ho mai fatto a queste schiere di genitori tutti realizzati e sicuramente felici, mi chiedo se le persone pensino davvero quello che dicono, o agiscano per bovini automatismi.

Per come la vedo io, in una civiltà sovrappopolate e iperconsumante come la nostra, l'atto più innaturale che possiamo fare è quello di procreare.
E' un punto di vista sicuramente opinabile e del tutto personale, ma se la continuazione della specie è la spinta istintiva che porta qualsiasi essere vivente a riprodursi, noi che siamo "esseri superiori" in un mondo sovrappopolato, dovremmo con la sensibilità e l'intelletto comprendere che non c'è più bisogno di seguire un processo che almeno in questo momento è poco utile ai fini della sopravvivenza di un intero mondo.

Fissato questo concetto, dico anche che ognuno di noi è liberissimo di avere tutta la prole che ritiene più opportuna, ma suggerirei a chiunque di darsi altre giustificazioni più edificanti e costruttive del "lo faccio perchè è naturale",
E soprattutto, anzichè chiedere a chi non ha figli
"ma perchè tu non hai figli?"
chiedere a sé stessi
"E io, perchè ho/avrò/voglio figli?"

Di sicuro un pizzico di autocoscienza e consapevolezza in più aiuterà tutti noi a migliorare il pianeta in cui viviamo, e ad evitare di comprare il letame da concime in sofisticati box dentro sciccosissimi negozi.



giovedì 15 gennaio 2015

L'importanza dello sport giusto

Erano gli anni novanta quando, novella Prometea, mi accingevo a percorrere le strade "alternative".
Ancor prima, molto prima a dire la verità, iniziai a fare sport.
Gli sport migliori per me erano e saranno sempre quelli all'aria aperta, non organizzati e anche conviviali.
Un bagno in mare con gli amici, o un giro in bici nella natura, ma anche una partita di calcio sconclusionata dopo un pic nic.
Per anni, però, mi sono lasciata convincere che l'unico modo per fare uno sport in maniera continuativa fosse andare in palestra. 
Lezioni di aerobica con indosso tutine imbarazzanti, sessioni di step nelle quali non capivi per quale legge della statistica tu non diventassi una cosa unica con quel cappero di scalino che dovevi scendere e salire forsennatamente...
Ma anche sudatissime pedalate in stanze 4x4 con altri 20 "ciclisti" accessoriati manco dovessero cronoscalare il monte Bianco: ho visto alcuni con borracce di bomba, credevano servisse anche per una lezione di spinning.
Per non parlare delle umilianti (dal punto di vista stilistico) lezioni di acquagym: un branco di donne imbruttite da orribili cuffie che fanno ballonzolare in acqua i tremolanti chili di troppo... Un'offesa all'orgoglio e all'amor proprio.
Come un clone del ragionier Filini, ho organizzato partite di calcetto e di pallavolo con un'infinità di colleghi, ma spesso finiva a tarallucci e vino in qualche pizzeria, e l'introito calorico superava sempre quanto consumato arrancando sul campo. 
Ho passato l'epoca degli sport di squadra (pallavolo in particolare) e quella degli sport invernali (infortuni ripetuti), intermezzate da fantastiche stagioni di Hip hop e funky, per giungere a 32 anni a praticare uno sport da contatto che mi conquistò: la kick boxing.
Purtroppo i continui infortuni subiti in passato mi costrinsero dopo tre intensi abbonamenti annuali, ad abbandonare lo sport che mi aiutava davvero a scaricare tensioni muscolari e mentali.
Giunta al terzo intervento al ginocchio, e con due menischi in meno, decisi mio malgrado di fare attività sportive più...posate e meno pericolose.
In questo fui molto aiutata dagli studi di naturopatia che avevo intrapreso: dietro le muscolari lezioni delle sale fitness, c'era davvero un mondo sconosciuto tutto da esplorare.
Per quasi dieci anni, complice anche la paura di farmi nuovamente male, ho praticato yoga, ginnastica posturale, bioenergetica, e un'infinità di altre attività.
Sono state esperienze bellissime, arricchenti, ma che non consentivano al mio corpo e alla mia psiche di lavorare per rimuovere tossine e stress.

Questo perchè ognuno di noi è diverso dagli altri, e quello che a me non aiuta, potrebbe invece essere determinante per qualcun altro.
Sia chiaro: la ginnastica posturale, che sia quella semplice o si chiami Feldenkrais, Mezieres, antiginnastica o qualsiasi altra cosa, è fondamentale. Tutti dovremmo farla ogni giorno.
Se dovessi suggerire una sola cosa, questa sarebbe la ginnastica posturale, la quale tra le altre cose una volta appresa si fa tranquillamente in autonomia.

E non mi stancherò mai di consigliare alle persone di avvicinarsi allo yoga, al tai chi, o a qualunque attività che possa condurci alla consapevolezza corporea.

Il mondo dello sport e delle attività fisiche più in generale è così vasto che  abbiamo solo l'imbarazzo della scelta.
Perchè quello che è chiaro a tutti è che il nostro organismo si è evoluto e si è forgiato attraverso millenni di movimento, e senza il movimento il corpo e la mente lentamente muoiono.
Il messaggio dunque è questo: possiamo scegliere tra migliaia di sport, quindi alziamo le flaccide chiappe dalle sedie e muoviamole.
Due ore a settimana non servono quasi a nulla, ricordiamocelo sempre: un meccanismo fatto per correre, saltare, procacciare cibo, nuotare, arrampicarsi ha bisogno di ore e ore di questo tipo di allenamento, e non di ore seduti su una sedia in una stanza senza sole.
Ma le due ore a settimana sono un buon inizio, e possono incentivarci a "fare di più". 
Il di più possibilmente all'aria aperta, s'intende.

Lo sport adatto a me, l'ho trovato casualmente quest'autunno.
Ero partita con il fare un'attività pseudo circense, ma anni di pratiche dolci, peso in eccesso e incompetenza dell'insegnante mi hanno procurato un piccolo infortunio che si è prolungato per mesi e fatto cercare qualcosa di più umano e anche vicino a casa.
E' così che mi sono imbattuta in un corso di prepugilistica: per caso e anche un pochino controvoglia ho prenotato la lezione di prova.
Ed è stato amore a prima vista.
Ok...
certo...
Non sono la prima persona che entra in una palestra e mette i guantoni, immagino che milioni di persone prima di me abbiano provato i benefici di questo allenamento, ma...
L'allenamento della boxe, o prepugilistica, mette in moto tutte o quasi le fasce muscolari. Non c'è praticamente nulla di inattivo, dalle dita dei piedi alla punta dei capelli ed eccezion fatta per il gusto, anche i nostri sensi verranno coinvolti.
L'allenamento della boxe è vario: non c'è mai una "lezione" uguale all'altra, ogni volta lavori per rinforzare un punto debole, sciogliere muscoli contratti, o velocizzare e automatizzare dei movimenti.
Non è necessario salire sul ring e tirare pugni ad un avversario, perchè quella è solo una parte dell'allenamento: tra salti, schivate, corda, pesi, scatti e soprattutto il sacco, il ring è l'ultimo dei tuoi pensieri.
L'allenamento della boxe ti consente di scaricare le tensioni, perchè non c'è niente di più liberatorio che dare un fracco di botte ad un sacco. Inoltre, nello stesso tempo in cui malmeni virtualmente il tuo capufficio stronzo, o un parente scomodo, il corpo si muove, i fianchi lavorano, braccia e spalle si tonificano.
Lo puoi modulare sulle tue necessità, e anche malanni fisici: io per esempio la corda ancora non la faccio, perchè il ginocchio è malconcio, e sostituisco con stretching o potenziamento.
L'allenamento della boxe è adatto ad un'ampia fascia di età: con me si allenano bambini di dieci anni, e ragazze. Non è mai troppo presto o troppo tardi per iniziare.
L'allenamento della boxe ti rende agile, vigile, attivo e soprattutto ti fa venire voglia di muoverti. Anche fuori della palestra, perchè ti mette in circolo un sacco di endorfine e stimola la voglia di muoversi.
L'allenamento della boxe ti mette di buonumore, e anche se la mattina dopo fai fatica ad alzarti, il buonumore te lo porti appresso per un bel pò.
L'allenamento della boxe serve a tutti coloro che fanno una vita molto sedentaria, troppo, e che accumulano tensioni e stress sulla colonna vertebrale: le aziende dovrebbero aggiungere alla pausa pranzo un'ora di boxe quotidiana, il rendimento lavorativo aumenterebbe notevolmente.

Dopo un decennio passato a cercare di placare la mente con attività "responsabili", a cercare una soluzione allo stress attraverso la meditazione, a tentare di conquistare linea e flessibilità delle articolazioni attraverso pratiche millenarie, ho trovato tutto questo nel mio sport giusto.

E voi, cosa aspettate a trovare il vostro?