La crisi può essere un'opportunità.
Ci dà modo di riconsiderare i nostri stili di vita e per chi lo desidera, capire quali sono i nostri veri obiettivi.
Sfruttiamo i suoi lati positivi e impariamo a vivere in maniera diversa.
La crisi può essere un'opportunità.
Ci dà modo di riconsiderare i nostri stili di vita e per chi lo desidera, capire quali sono i nostri veri obiettivi.
Sfruttiamo i suoi lati positivi e impariamo a vivere in maniera diversa.
Questo non è affatto un bel periodo per l'Italia. Tra stangate e mazzate, anche la natura ci mette del suo e decide di sconquassare la vita di decine di migliaia di cittadini ai quali nel giro di una settimana è stata tolta una casa, un lavoro, un familiare, la vita.
Come se non bastasse, oltre al danno si aggiunge la beffarda e recente disposizione dell'attuale governo che non stanzierà più fondi per disastri ambientali; abbiamo visto con la città de L'Aquila che anche i fondi servono a poco se a distanza di due anni gran parte delle zone colpite è ancora una maceria, ma se uno Stato decide di togliere anche gli aiuti minimi che sarebbe tenuto a dare, lo Stato delegittima la sua esistenza.
Se scompare il carattere assistenziale, allora viviamo in un moderno regime feudale, dove ti concedono sì di tenerti il "tuo" pezzetto di terra, ma a carissimo prezzo.
Nel frattempo, il caro Monti anzichè parlare dei fondi che non stanzieranno, si preoccupa di pronunciare ipotesi sulla chiusura di un paio di anni del campionato di calcio italiano.
Fondamentalmente, e cercando di evitare quanto più possibile la volgarità, del calco m'importa 'nà ....
Ma evidentemente, il "problema" è così sentito dagli italiani da indurli a parlare e versare fiumi di energie su questo scandalo, che di sconvolgente ha solo il fatto che ancora oggi milioni di persone danno credito e "fede" a un passatempo.
Sprechiamo centinaia di euro, ore e ore di tempo a guardare gente giocare sui prati invece di farlo noi stessi; i gusti son gusti, ma sinceramente chi ancora crede alla lealtà sportiva e ai valori etici in un mondo dove girano miliardi di euro... è un grullo.
Il potere che abbiamo di cambiare il nostro mondo semplicemente svegliandoci dal torpore mediatico e sociale dell'uomo qualunque è immenso.
Svegliandoci capiremmo che non siamo costretti a farci prendere per il didietro da persone viziate, strapagate e ladrone che truccherebbero anche le partite a dama con la nonna.
Svegliandoci capiremmo che il governo non può fare quello che vuole, e che lo Stato siamo noi e ognuno di noi può contribuire a migliorarlo.
Svegliandoci potremmo dare un segnale forte al Presidente della Repubblica che ritiene la parata militare indispensabile per festeggiare la Repubblica: boicottiamola tutti, e lasciamo solo i politici a "godersela"
Svegliandoci potremmo fare mille milioni di cose, e ricostruire le città terremotate negli stessi tempi e standard qualitativi del Giappone: se lo hanno fatto loro, allora si può!
Svegliamoci, e spegniamo la TV e la falsa informazione!
Pensa in piccolo, adotta la politica dei piccoli passi.
Se non sei costretto dalla crisi a rinunciare a tutto e subito, otterrai maggiori risultati procedendo un poco alla volta.
Senza troppa fatica, anzi, otterrai dei grandissimi risultati!
Foto: windoweb
Questa è davvero una ricetta rapida e che con il suo profumo inebriante riesce a cambiare l'umore di una persona.
Chi l'ha detto che un pasto non possa essere anche un fantastico momento di aromaterapia?
Veniamo agli ingredienti:
spaghetti/spaghettoni
dieci pomodori perini ben maturi
una manciata di erbe aromatiche (erba cipollina, salvia, rosmarino, basilico, prezzemolo, pochissimo origano)
olio evo
peperoncino
aglio
procedimento:
mentre l'acqua bolle, tagliare i pomodorini a pezzetti e tritare finemente le erbette e metterli in una ciotola. Chi gradisce, può aggiungere uno spicchio di aglio tagliato a rondelle sottili.
A parte, riscaldare a fiamma dolce l'olio con il peperoncino facendo attenzione che la temperatura non diventi troppo alta. L'olio deve essere messo tiepido nella ciotola.
Scolare la pasta al dente, versarla subito nella ciotola con le erbe i i pomodori, aggiungere l'olio e girare velocemente.
Il calore della pasta ammorbidirà leggermente i pomodori e sprigionerà il gusto fantastico di questa pasta.
Se volete, accompagnatela con un bel bicchiere di vino bianco ghiacciato e... buon appetito!
Nell'ambito della decrescita e dell'autoproduzione,
ho trovato tempo fa una ricettina molto sfiziosa di panini all'olio, da preparare senza il bisogno di aggiungere null'altro che ingredienti derivanti dal mondo vegetale.
Procediamo con la ricetta...
Ingredienti:
500 gr farina grano tenero
100 ml olio
150 ml acqua
50 gr evo
50 gr latte di riso tiepido
25 gr lievito
10 gr di sale
10 gr di zucchero
Procedimento:
Impasto a lungo la farina con l'olio, fino a quando non si amalgamano bene i due ingredienti.
A parte, sciolgo il lievito nel latte intiepidito e lo aggiungo all'impasto. Continuo a lavorare il composto aggiungendo poco a poco l'acqua. Volendo si può sostituire l'acqua con il latte di riso per rendere il panino più morbido e simile al panino al latte.
Una volta fatto assorbire tutto il liquido, aggiungo sale e zucchero e continuo a lavorare la pasta fin quando non risulterà soda e liscia. A quel punto, copro l'impasto e lo metto a riposare in un ambiente tiepido e al riparo delle correnti. Quando è raddoppiato di volume, si può procedere con la seconda lavorazione: formo delle palline della dimensione desiderata e le metto su una placca da forno ben oliata. Anche questa volta, faccio riposare e aumentare di volume; è preferibile aspettare un'ora in più ma far lievitare bene l'impasto.
Una volta cresciuti, i panini vengono intagliati con la lama di un coltello e conditi a piacere con semi di sesamo, papavero, sale grosso e quello che la fantasia ci detterà.
Lascio ancora riposare una mezz'ora, e inforno a 200 gradi per venti minuti circa o fin quando i panini non risulteranno ben dorati.
Arrivati a questo punto, e dopo averli fatti raffreddare per alcuni minuti, si possono servire in tavola.
Buon appetito!
I dati sulla disoccupazione si fanno ogni mese più pesanti, le pensioni non bastano a fa vivere decentemente le persone, stentiamo ad arrivare a fine mese?
Ecco una proposta che a molti farà storcere la bocca, ma che per tantissima gente è già pratica forzata: la condivisione degli spazi abitativi.
In un periodo in cui aumentano le tasse anche sull'aria che respiriamo, l'unica soluzione (si spera temporanea ma potrebbe rivelarsi un'ottima esperienza) che a me può venire in mente per garantirci un tenore di vita umano è con-dividere le case: magari con i familiari, o per chi può permetterselo in cohousing, questa pratica dal sapore un pò retrò può e deve essere attuata.
Ricordo i racconti delle mie nonne, una a Roma e l'altra in un paesino nella campagna marchigiana, che mi parlavano di epoche "lontanissime", nelle quali la gente divideva pochi metri quadrati con una o più famiglie; ho anche la memoria dei bellissimi film italiani degli anni 50 e 60, dove bastava una tenda per creare più stanze da letto all'interno di un unico ambiente. Tuttora extracomunitari e comunitari non molto ricchi vivono numerosi in appartamenti poco più che piccini.
Non è questo il ritorno al passato che auspico, quelli erano tempi durissimi e le persone avevano la peculiarità oggigiorno rara di sapersi adattare a tutto pur di aggirare gli ostacoli che la vita metteva loro di fronte.
Noi abbiamo cambiato la nostra mentalità, consideriamo la casa come un rifugio anche psicologico ancor prima che un tetto che ci ripara da intemperie e intrusi, e come un simbolo di affrancamento dalle mura genitoriali. Per alcuni, è la triade maxima a cui aspirare nella vita: casa, matrimonio, figli.
E' difficile pertanto pensare di tornare a vivere con i genitori, o pensare all'epoca in cui le nostre nonne gestivano una casa con dieci persone dentro e talvolta qualche animale. E, come detto prima, non siamo costretti a dividere 20 mq con altre 6 persone.
Abbiamo bisogno dei nostri spazi, questo è certo, ma i nostri spazi sono davvero nostri?
Se ci soffermiamo a scrutare nelle varie stanze (per i fortunati) che compongono i nostri appartamenti, noteremmo che la maggior parte dello spazio che non è occupato da esseri viventi è dedicato all'archiviazione di beni di consumo: televisori, pc, console, scarpe, vestiti, quintali di scorte alimentari e detersivi. Il nostro "spazio inalienabile" ha la funzione di immagazzinare scorte per la maggior parte inutili, costose e che diventeranno obsolete nell'arco di dodici mesi.
Se viviamo in case ricolme di beni di consumo, non sarebbe più proficuo e utile occupare quello spazio con qualcuno il quale, una volta presi accordi molto precisi, possa contribuire alle spese?
Ed è davvero così brutto prendere in considerazione l'idea di dividere casa con parenti e/o amici, sempre che si stia in buoni rapporti e che si abbia un minimo di sacrosanta privacy?
Mantenere due case o mantenerne una costituisce enorme differenza economica per una famiglia; ma, al di là di semplici calcoli da ragionieri, potrebbe anche essere un modo temporaneo per condividere saperi, conoscenze, esperienze.
Anzichè accendere la tv, potremmo raccontarci le nostre giornate o succosi aneddoti, anzichè comprare due volte le stesse riviste, comprare una rivista e un libro da leggere e commentare.
Meno elettrodomestici, meno consumi di gas per riscaldare le case, magari meno automobili perchè si riuscirebbe a intrecciare i vari impegni e fare car sharing. Meno Imu, meno tasse, un solo abbonamento Rai. Meno sprechi alimentari, ottimizzazione del tempo libero (se si fanno i turni in cucina e per le pulizie), meno spese di manutenzione (con più persone in casa, si può trovare chi rassetta il giardino o fa piccole riparazioni).
Se fatto con consapevolezza e desiderio di aiutarsi reciprocamente, riusciremmo a superare i piccoli ostacoli quotidiani che i vari caratteri ci proporranno inevitabilmente.
Ma tutto sommato, sarebbe davvero così brutto vivere insieme ad altre persone?
Domenica 13 maggio a Roma si è svolta la decima edizione della festa dei Vegetariani, un momento d'incontro, informazione e riflessione su cosa significa essere vegetariani e perchè dovremmo esserlo. La manifestazione è stata ospitata presso la Città dell'altre economia , una realtà in piedi da anni ma che sembra purtroppo rischiare la chiusura grazie al disinteresse più totale di questa amministrazione cittadina che sembra evidentemente poco sensibile alla realtà in questione (e non solo).
Ma procediamo per argomenti senza mescolare troppo le cose.
La festa dei vegetariani: quest'anno mi è parsa leggermente sotto tono, ma come sempre ho avuto modo di fare conoscenza con diverse persone e scoprire delle realtà molto vive che si muovono nella nostra metropoli. Catering vegetariani, corsi di cucina crudista, banchetti animalisti e persino uno stand che vendeva cibo per animali veg. Ho usufruito di un trattamento gratuito di Pranic Healing che mi ha rimessa al mondo, e ringrazio le gentilissime operatrici che me lo hanno offerto.
L'esperienza principale di queste occasioni resta comunque quella di conoscere altre persone che condividono lo stesso percorso, e fare "rete" per diffondere questo stile di vita.
Già che c'ero, vista la concomitanza con il Biomercato, mi sono fatta un giretto nello spazio adiacente la festa, ricco (almeno da lontano) di invitanti banchetti. Devo dire la verità: sono rimasta parecchio delusa. Se biomercato deve essere, logica vorrebbe che su 20 stand 18 siano di prodotti biologici, in particolar modo alimentari. Invece, come purtroppo capita spesso, la rappresentanza del mondo alimentare e soprattutto vegetale era limitata a due stand che alle 13:00 si erano praticamente finiti tutto, a un meraviglioso banco con panificazioni naturali di tutti i tipi, al "porchettaro" e un venditore di formaggi bio.
Il resto, con tutto il rispetto per esso, era rappresentato da beni di ...seconda necessità.
Interessante però il laboratorio di creazione di pasta modellabile (il didò per intenderci) che alcune ragazze stavano facendo con dei bambini... un'esperienza da replicare sicuramente!
Proseguendo con il mio giro, ho deciso di visitare gli spazi della Città dell'Altra economia. Tenete presente che il consorzio che gestisce lo spazio all'interno dell'Ex mattatoio è sotto sfratto e continua ad "abitare" questo luogo solo grazie a piccole proroghe dell'ultimo minuto che però non consentono una pianificazione accurata e a lungo termine di eventi, manifestazioni, incontri.
Come dicevo prima, l'amministrazione attuale di questa città ha scarso interesse a mantenere vivo un luogo di incontro, relazioni e crescita che parla di economie alternative: questa amministrazione in realtà ha interessi solo dove può lucrare, cosa potrebbe farsene del CAE?
E' però paradossale che in una città come Roma, talmente ricca di agricoltura da essere la città europea con il maggior territorio agricolo, le amministrazioni non riescano a capire quanta "economia" questa situazione potrebbe creare. Paradossale e assolutamente miope, visto che sempre più cittadini si interessano di argomenti come la decrescita, il commercio etico, l'agricoltura biologica.
In ogni caso, devo dire che la biobottega mi ha delusa. Certo, lo spazio è molto grande e hanno un settore vini/oli spettacolare, per non parlare delle centinaia di tipi di conserve e di scatolame vario. Ma io vivo dell'illusione che la decrescita e l'altra economia debba essere frutto di uno stile di vita che predilige il fresco, l'appena colto. Vedere la zona ortaggi e frutta relegata in 20 metri quadrati e completamente sguarnita mi ha confuso le idee: in un giorno di grande affluenza come queste domeniche, mi sarei quantomeno aspettata che ci fosse qualcosa in più di tre vaschette di fragole, 5 chili di fave e qualche patata. Mi sarebbe piaciuto acquistare uno o due frutti e mangiarmeli al sole, ma anche fare un pò di spesa da portare a casa: per lo scatolame, attraverso la strada e il supermercato davanti casa me ne offre in abbondanza.
Non è andato meglio il biobar: proponeva moltissimi panini e focacce, con i soliti prezzi allucinanti. Un euro e 50 per una pizzetta di 7 cm di diametro e del peso scarso di 80 grammi, due euro e 50 per saccottino di 130 gr ripieno di verdure. L'acqua (di Nepi e in plastica), un euro per mezzo litro. Se fossero corretti toglierebbero il prefisso bio.
Comunque sia, se è il messaggio che conta, e lo spazio per fare rete e "numero" la Città dell'Altra Economia è un punto cruciale d'incontro, ed eventi come la festa dei Vegetariani importanti momenti d'informazione.
Ava: http://www.vegetariani-roma.it/
Città dell'Altra Economia: http://www.cittadellaltraeconomia.org/index.php
La neve a Roma quest'anno ha fatto strage di un sacco di piante sul mio balcone. Guarda caso, tutte quelle cosidette ornamentali, lasciando i miei balconi con un pugno di aromatiche malconce ma che hanno resistito alla grande.
Vista la mia scarsa maestria nel gestire ortaggi e frutti sul terrazzino (sebbene la lattuga mi ha dato delle enormi soddisfazioni), quest'anno ho scelto di essere minimal: peperoni e peperoncini a parte (e se il dio degli ortolani vuole confido di assaggiare una fragola), ho riempito i vasi di aromatiche di tutti i tipi, e proseguito con la via dei vasi sinergici.
Cosa significa, in parole povere? Ho messo per ogni vaso diversi tipi di piante a farsi compagnia tra di loro, e tra essi qualche spicchio di aglio. L'hanno scorso l'esperimento ha funzionato, tanto da far diventare rigogliose le lattughe piantate in questo modo e tristi quelle messe insieme ad altre compagne. L'esperimento ha inoltre (pare) tenuto lontani dalle piantine un bel po' di parassiti.
Nelle foto potete vedere una minima parte dei miei strampalati esperimenti, nel frattempo questo è l'elenco delle aromatiche attualmente dimoranti (l'elenco è ancora da aumentare, of course):
coriandolo
rosmarino
rucola
basilico siciliano e genovese
erba cipollina
salvia
peperoncini vari
timo limoncino
origano strisciante
Siamo culturalmente predisposti ad avere tutto e subito, corriamo corriamo e speriamo anche di ottenere risultati miracolosi da qualsiasi prodotto usiamo: dal frutto magico alla crema anticellulite istantanea, passando per le diete lampo o per le ristrutturazioni all in one.
Anche per l'attività fisica è così, cerchiamo frenetici programmi di allenamento che possano smagrirci, tonificarci e gonfiare i nostri muscoli, sì da verificarne i tangibili risultati entro 48 ore dall'inizio dell'attività.
I cinque tibetani non sono niente di tutto questo. i testi che li descrivono parlano di risultati eccezionali che vengono fuori sulla lunga distanza: ringiovanimenti significativi, aumento dell'energia vitale, sparizione di molti acciacchi. Ma quello che conta, secondo il mio modesto parere, è l'assiduità nel praticarli.
Cosa sono i cinque tibetani? Sono una pratica di cinque esercizi dinamici mutuati in parte da alcune posture yoga: attraverso una respirazione specifica e l'attenzione portata ai movimenti, questi esercizi lavorano sui sette vortici vitali (o chakras) armonizzandoli, e armonizzando con essi le ghiandole ormonali collegate. Questo allineamento provocherebbe nel tempo un ripristino del corretto funzionamento dell'organismo, portandolo a "sfruttare" appieno le infinite risorse che ha a disposizione.
I testi riferiscono di enormi miglioramenti: per onestà, io personalmente non conosco nessuno che li abbia praticati e sia ritornato fisicamente "indietro nel tempo", magari fra un paio di anni potrò aggiornarvi.
Quello che posso raccontare della mia esperienza appena iniziata è che effettivamente donano una grande riserva di energia ma soprattutto "costringono" a dedicare dieci venti minuti al giorno al nostro benessere psicofisico: una sorta di meditazione attiva che se praticata assiduamente può indurci a smettere di cercare il miracolo mediatico e farci concentrare sul potere reale della nostra mente e del nostro corpo.
Se volete saperne di più fate riferimento ai seguenti testi:
Peter Kelder - I cinque Tibetani Ed. Mediterranee
AAVV - I cinque tibetani Volume 2 - Ed Mediterrane
Oppure guardate questo video che mi sembra il più attinente:
http://www.youtube.com/watch?v=eDZ03fHA7vU
Aprile è il mese in cui iniziano timidamente a spuntare sui banchi del mercato le prime, timide fragole.
Dopo mesi di arance, mele e pere, è una gioia per gli occhi e i succhi gastrici vedere quel rosso sgargiante pieno di gustose promesse.
In attesa però di arrivare a godere appieno dei frutti primaverili/estivi, possiamo buttarci a capofitto nelle tantissime varietà di verde che la tavola di aprile ci offre:
La tavola di primavera sembra proprio essere fatta per pulire i nostri organismi e prepararli al gran caldo dei mesi estivi: con la varietà di prodotti della terra ricchi di minerali e vitamine avremo modo di affrontare in piena salute e "ripuliti dall'interno" la stagione.
Inoltre, data la versatilità di questi ortaggi, potremmo mangiare ogni giorno combinarli in minestre, zuppe, primi piatti, secondi e contorni gustosi e più che salutari.
Cosa aspettiamo quindi a imbandire le nostre tavole con queste delizie?
Bon appetit!
Aggiornamento del 2 maggio:
le estrazioni sono state fatte e ai vincitori è stata inviata una email. Per chi non avesse vinto, rimanete sintonizzati, nuovi Giveaway vi aspettano!!!
I vincitori del Giveaway sono:
Francesca S.
Autilia D.
Alessandra B.
Brigida A.
M.d.R
Grazie a tutte e tutti coloro che hanno partecipato!
Ed eccoci arrivati al secondo Giveaway di primavera.
Questa volta, in palio ci saranno 5 vasetti da 30 ml di crema personalizzata con oli essenziali e fiori di bach per i piccoli problemi della pelle quali punture d'insetto, piccoli eritemi, scottature.
A seconda della vostra necessità, personalizzeremo la crema con gli ingredienti più appropriati.
La crema usata come base sarà il fluido idratante della BioEarth, completamente ecobiologico.
Per partecipare, inviate una email a
giveaway.biosipuo@yahoo.it
entro e non oltre il 30 aprile con oggetto "Secondo Giveaway di primavera".
Dopo tale data, verranno estratti a sorte 5 nominativi ai quali verrà inviato l'omaggio.
Attenzione:
Non inserite i vostri dati, quelli verranno chiesti solo se sarete estratti!
Saranno accettate solo le adesioni che arriveranno al suddetto indirizzo email.
Buon Giveaway!!!
Oggi, grazie all'articolo scritto dal mio amico Max, vorrei farvi conoscere il Massaggio tradizionale Thailandese. Buona lettura e buon massaggio!!!
Ogni giorno Viviamo la vita attraverso la percezione della nostra mente, delle nostre emozioni e
del nostro corpo. Questo negli anni si è sviluppato per funzionare in un certo modo di optimum: lo
Stato Naturale.
Le restrizioni, le pressioni e le tensioni della vita quotidiana ci rendono incapaci di rimanere in questo Stato.
La paura, l’inquietitudine, le emozioni negative, la mancanza di una propria educazione,
le cattive abitudini, la postura errata nel lavoro, la respirazione non corretta, la disidratazione, indeboliscono gradualmente i nostri corpi e la nostra mente, causando l’accumulo di tossine, la degenerazione del tessuto connettivo, l’ossigenazione insufficiente dei muscoli, un uso eccessivo o un uso limitato di certi muscoli.
Tutto questo ci conduce verso problematiche fisiche e/o mentali, e/o emotive, ed infine puo’ arrivare a provocare la malattia.
“ I ricercatori valutano che alla fine l’80% di tute le malattia e causato dallo stress”!!!
Nuad Thai, il Massaggio Thai Yoga Tradizionale è un antico metodo utilizzato come
terapia per riprestinare le funzioni vitali del corpo.
Il Nuad Thai lavora allentando la miofascia, il tessuto connettivo, le fibre muscolari, sblocca l’energia,
stimola il movimento del sangue ed il liquido linfatico.
Il periodo del trattamento crea inoltre una pausa nella vita quotidiana consentendo al corpo-mente di rilassarsi profondamente, stimolando la produzione di benefici ormoni (i peptides), i quali riparano ogni giorno il danno da logorio.
Il corpo viene così stimolato e armonizzato verso il suo Stato Naturale, lasciando una sensazione di leggerezza, libertà, serenità.
Con la combinazione dei consigli sulla postura, sulla respirazione e sulle abitudini mentali, il Nuad Thai può essere un valido aiuto contro lo stress, il dolore muscolare, la rigidità, la fiacchezza, la tensione, la depressione.
Il Massaggio Thai non è una cura, solamente il corpo si cura; il Massaggio Thai rilassa il corpo permettendogli di autocurarsi.
Il Nuad Thai si integra bene con il movimento; aiuta infatti a migliorare le prestazione nello Yoga, nel ballo, nelle arti marziali e in tutti i tipi di sport in generale.
Chiunque di noi sia costretto a trattenersi fuori di casa durante la pausa pranzo, sa benissimo che questa pausa di un'ora può trasformarsi in una costosa e poco sana esperienza alimentare.
Ormai lo sappiamo tutti: con i costi sociali che questo governo carica sempre di più sulle nostre spalle, volenti o nolenti dobbiamo risparmiare sul superfluo. Tolta quella della benzina utilizzata anche per andare in bagno, quale spesa risulterebbe più superflua del pasto consumato quotidianamente fuori casa?
Facciamo un rapido calcolo: mangiare un panino al bar (la cosa meno costosa) più un'acqua o una bibita non costa meno di 3,5 euro che moltiplicati per 20 giorni lavorativi fanno 70 euro. Un pasto caldo composto da una sola pietanza, ci viene a costare intorno ai 5 euro minimo, per un totale di 100 euro al mese. Un pasto con due "portate", circa 8 euro (160 euro al mese). Il tutto, e per i fortunati che hanno un lavoro fisso e regolare per circa 11 mesi l'anno, equivale ad una spesa che va dai 770 ai 1760 euro all'anno. Vale a dire una cifra che equivale ad almeno una mensilità di stipendio.
Se ci aggiungiamo quei due euro almeno di caffè vari, lascio a voi l'onore di fare i conti...
Quando scrivo o parlo di decrescita, c'è sempre l'economista di turno che ribatte su quanto sia indispensabile consumare e spendere per mantenere questo sistema in piedi: configurando scenari apocalittici, il signor qualcuno cerca di convincerti che se i negozi chiudono e le aziende falliscono, è colpa delle tue scelte di consumar poco. Dimentica, questa gente fortunata che può permettersi di parlarci di consumi in virtù del fatto che ha risparmi ed entrate fisse ogni trenta giorni, che molte persone ormai sono oltre la canna del gas, che molte famiglie vivono in strada, e che il sistema economico che si sta cercando di tenere in piedi è la causa primaria di cotanta miseria umana.
La nostra società, in tempi di vacche grasse, ha creato una catena infinita di intermediazioni tra le materie prime e i prodotti finiti, e tra i prodotti finiti e gli utenti finali. In una sorta di struttura piramidale ancora più subdola delle famigerate aziende quali Herba.laif (ho storpiato il nome appositamente), i prezzi sono lievitati all'infinito per il consumatore, e scesi ben oltre la soglia della fame per i fornitori di materie prime (leggi questo: http://biosipuo.myblog.it/archive/2012/03/07/i-costi-sociali-dell-aranciata.html )
Abbiamo poi creato un miliardo di strutture per supportare i servizi: in poche parole, non per creare o produrre ma per smuovere l'aria fritta.
Certo, il bar o tavola calda che dir si voglia potrebbe entrare a fatica in questo ragionamento, se si pensa che le prime trattorie veloci per viandanti o lavoratori affamati sono sorte nell'antica Cina qualche millennio fa.
Ma adesso non sono più la stessa cosa... Alzi la mano chi riesce a mangiare ad un prezzo accettabile un pasto preparato con materie prime di qualità e con ingredienti freschi. Come dite, non potete saperlo perchè i ristoratori non pubblicizzano queste cose?
Mangiare fuori di casa significa mettere nelle mani di qualcun altro la nostra carica di energia, il nostro apparato digerente e per molti versi la nostra salute. Delegare a terzi la scelta del nostro cibo dovrebbe essere, come sempre, un atto di estrema consapevolezza: troppo spesso però ci avventiamo sulla sbobba che ci propinano affamati e desiderosi di finire in fretta per tornare ai nostri lavori.
E così, ci capita abbastanza di frequente di avvertire gonfiori, sonnolenze, e tanti fastidi di vario genere.
Come potremmo salvare capra (i nostri portafogli) e cavoli (i nostri stomaci)? Molto semplice, seguendo l'esempio dei nostri nonni.
Portarsi il pranzo da casa non è più un comportamento socialmente disdicevole, e oltre a risparmiare più del 50% di quanto spendiamo per mangiare fuori abbiamo la possibilità di variare la nostra alimentazione e scegliere quei prodotti freschi che ci daranno realmente energia. Il pranzo al sacco inoltre è un ottimo modo di riciclare gli avanzi della cena e risparmiare ulteriormente, e ci offre anche la possibilità di condividere le nostre creazioni con i colleghi. Basta veramente poco per organizzarsi e fare di questa virtuosa pratica un'abitudine che non pesa: possiamo preparare il nostro pranzo "cotto" mentre prepariamo la cena serale, oppure preparare un panino con verdure, patè freschi e qualche germoglio, o prepare una bella busta di frutta e verdure sbucciate mentre siamo in attesa che si liberi il bagno.
Preparare il pranzo al sacco è semplicemente questione di abitudine, e se ci inventiamo una scusa nuova ogni giorno per evitarla, allora ci meritiamo di vedere i nostri portafogli sgonfi e le pance gonfie.
Prepararsi il pranzo ci da anche l'opportunità di variare ogni giorno la nostra alimentazione, evitando di incorrere in intolleranze dovute all'abuso delle solite quattro cose ingurgitate quotidianamente e fornendo una gamma completa di micro e macro nutrienti.
Per chi volesse osare, potrebbe anche portare un piccolo thermos dove mettere il caffè o l'orzo, da consumare con calma e senza spendere 90 centesimi ogni volta che si vuole fare una pausa.
Basta solo cominciare, magari già lunedì si potrebbe sperimentare, che ne dite?
Un mese fa circa mi capita di ascoltare alla radio la discussione di un problema molto sentito in Calabria ma poco pubblicizzato in Italia. Due giorni dopo, vado sul sito di The ecologist (clicca qui) e noto con grande dispiacere che all'estero ne hanno fatto un'inchiesta che è stata presa molto sul serio, tanto da indurre la Coca Cola ad aprire un'indagine interna.
Il dispiacere deriva dal fatto che qui l'opinione pubblica ignora o se ne frega di problema che parte da noi e ha risonanza mondiale.
Ma veniamo ai fatti:
le arance calabresi vengono acquistate dalle grandi multinazionali delle bibite per farne il succo che verrà poi messo, in infima percentuale, nelle aranciate.
Il prezzo di acquisto è ovviamente stabilito dalle multinazionali, le quali per quest'anno hanno fissato un cartello di 7 centesimi per chilo. Si noti bene l'enorme differenza di prezzo tra quanto le paghiamo noi al dettaglio (tra i 70 centesimi e l'euro e 50), e si noti bene quanto costa un litro e mezzo di aranciata considerando che di succo ce n'è il 10% più zuccheri e aromi vari.
Qual'è il problema, direbbe il cittadino medio(cre)? E' una vendita all'ingrosso, viene garantito l'acquisto del raccolto, i coltivatori possono stare tranquilli con acquirenti del calibro di quelle multinazionali...
Il problema è che, a fronte di un ricavo di 7 centesimi al chilo, il costo di raccolta e quello di trasporto è di 10 centesimi (7+3). Non solo: i pagamenti vengono, a detta dei coltivatori, dilazionati a 365 giorni, il che significa che il ciclo di vita produttivo di un albero di arance mi darà un guadagno dopo due anni. Ovviamente, sempre che decidano di pagare, come dichiara un coltivatore nel video su youtube: clicca qui
Chi può permettersi di coltivare oggi per vedersi retribuire il 30 marzo 2014, o addirittura mai?
Cosa comporta questo, oltre che mandare sul lastrico centinaia di famiglie?
La maggior parte dei lavoratori, che si dedicano alla raccolta delle arance è extracomunitario: molti di loro sono clandestini. Le loro condizioni di vita sono terrificanti, come denunciato da Emergency. Queste persone vengono spesso arruolate dai famosi caporali, i quali alla fine di una lunga giornata di lavoro pagata circa 25 euro, si prendono una lauta percentuale lasciando pochi euro nelle tasche.
Così, per poter vivere, si arrangiano in capannoni, tende, edifici fatiscenti. Non solo: secondo i medici di Emergency molte malattie da contatto, dermatiti, congiuntiviti, possono essere ricondotte all'uso improprio di anticrittogamici, pesticidi, etc.
La Coca Cola, una delle multinazionali che approfitta di queste produzioni, sta cercando di porre un qualche tipo di rimedio per rendere più eque le condizioni di lavoro, ma basterebbe semplicemente pagare equamente i produttori e con scadenze decenti per risolvere il problema senza dover ricorrere a idee creative. Molto semplice: se metti in condizione le persone di poter vivere, il degrado e la povertà si riducono.
Quando apriamo il frigorifero e stappiamo la nostra frizzante bibita con l'acquolina in bocca, pensiamo a cosa nascondono quelle invitanti bollicine: ingiustizie sociali, costi sociali elevatissimi seppur nascosti, decadimento del sistema economico italiano.
Cosa possiamo fare noi, per ovviare a ciò?
Come sempre molto, anzi di più.
Compriamo un chilo di arance da un coltivatore diretto, una bottiglia di acqua frizzante in vetro, e misceliamo il succo di un'arancia con un litro di acqua e un cucchiaino di malto di riso o orzo.
Agitiamo velocemente, aggiungiamo qualche cubetto e voilà: vitamine e gusto a costo sociale zero!
Ormai lo sappiamo, la stiamo attraversando da anni: la crisi è con noi e a quanto dicono gli "esperti" ci farà ancora compagnia per un bel pò.
In Italia siamo tartassati ovunque ci muoviamo, non c'è momento della giornata in cui ognuno di noi non risenta di iva aumentata, benzina alle stelle, servizi privati e pubblici cari come il fuoco. Insomma, il nostro stipendio è davvero in balia di furiose ventate di uragano e non c'è verso di far quadrare i conti.
Siamo costretti a risparmiare, obbligati a tagliare alcune spese che prima potevamo permetterci: ma è davvero così?
In una città come Roma, intossicata dal traffico e oberata dai balzelli più cari d'Italia, abitanti e pendolari devono lavorare otto ore al giorno per ottenere la paga di tre ore e mezza. Le restanti cinque ore e mezza se ne vanno in irpef, iva, addizionali, immondizia, benzina. Aggiungiamoci i costi che dobbiamo sostenere per mantenere una vettura: bollo, tagliandi, assicurazioni, rabbocchi di liquidi vari, controlli. E già che ci siamo, mettiamoci pure i costi dei vari abbonamenti ai cellulari per garantirci un "contatto" con il resto del mondo mentre stiamo fuori di casa quelle dodici ore al giorno che non fanno mai male.
Se ci pensiamo bene, stiamo vivendo per mantenere un sistema economico che ci toglie salute, ricchezza, tempo e libero arbitrio. E che ci costringe a comprare cibo di scarsa qualità per poter arrivare a fine mese, e fare le file in farmacia per curare tutti quei sintomi/malattie che l'era moderna ci ha portato.
Bando alle tristezze e alle considerazioni di non poter fare nulla per "cambiare il mondo": almeno per ora una piccola parte di potere decisionale è ancora in nostro possesso, e con il solo sforzo della corenza e un pizzico di buona volontà possiamo fare molto per cambiare il nostro mondo e migliorare il nostro stile di vita.
Un segnale molto forte di attuazione della decrescita (forzata a dire il vero) è stato l'aumento degli abbonamenti Metrebus a Roma nel mese di marzo: oltre il 30% in più rispetto ai mesi passati. Le persone sono costrette ad utilizzare i mezzi perchè fare il pieno alla vettura ormai è diventata una pratica impossibile per molte famiglie. Il passo successivo sarà quello di vedere strade sempre più vuote: a quel punto, con poca spesa da parte del comune per approntare delle piste ciclabili, anche Roma potrebbe diventare una città piena di due ruote che si muovono con la sola forza delle gambe o un minimo di pedalata assistita.
Ma intanto che aspettiamo questo "miracolo" che spero sia alle porte, potremmo prendere l'abitudine di fare delle passeggiate in bici nei parchi durante i fine settimana: questo ci porterebbe a benefici fisici e psicologici non indifferenti, ma soprattutto ci terrebbe lontani dai centri commerciali.
Con un risparmio economico non indifferente: se andassimo ad analizzare le spese fatte durante la domenica, ci accorgeremo che per comprare due sciocchezze al supermercato spendiamo dalle dieci alle cento volte tanto: il gioco per i figli, il pasto all'interno della struttura, la maglietta indispensabile, l'accessorio di tendenza. Evitando questi luoghi di tentazione e preferendo acquistare il nostro cibo durante la settimana nei vari mercati e mercatini, il risparmio a fine mese sarà notevole, e magari ci scappa pure un sorriso di soddisfazione per cotanto virtuosismo a costo... zero.
La decrescita serena passa anche attraverso un uso mirato del cellulare. Quanti di noi hanno due numeri, due telefoni che cambiamo abbastanza frequentemente, e qualcuno che ci disturba chiamando in qualsiasi momento della nostra giornata?
Se la media italiana è quella di cambiare un cellulare ogni due anni al modico costo di 200 euro (e mi tengo bassissima viste i picchi dei vari smartphone), aggiungendo un minimo di 30 euro al mese di abbonamento o ricaricabile, otteniamo una cifra di euro 460 l'anno per restare sempre in contatto con il mondo. Serve davvero? E quanta ansia crea un cellulare quando lo teniamo sempre con noi? Facciamoci caso...
Un altro spunto per essere più sereni e avere le tasche meno sgonfie è quello di prendere in considerazione l'abbandono della palestra. Certo, un corso di ginnastica posturale, di yoga o di kick boxing necessitano di un luogo fisico ben definito, ma per il resto...abbiamo davvero bisogno di pedalare sulla cyclette o correre su un tapis roulant? O sollevare pesi?
A costo zero, e con il vantaggio di respirare aria fresca e stare all'aperto, nei mesi che vanno da marzo a ottobre potremmo risparmiarci tranquillamente il costo della palestra. E pagare magari solo quel corso specifico che tanto ci piace e arricchisce mente e fisico.
Questi sono solo alcuni degli aspetti di una decrescita che ci rende cittadini attivi, attenti e consapevoli. Ovviamente ce ne sono tantissimi altri, tutti molto efficaci e che nel giro di poco tempo ci porteranno a decrescere e diventare più sereni.
Buona decrescita a tutti!
Questa è una ricetta creata pochi giorni fa un pò per sbaglio un pò per fortuna :-)
Il purea di fagioli cannellini, condito con un filo di olio e un pizzico di pepe, si sposa benissimo con le lenticchie verdi che, essendo già molto aromatiche, vengono solo rese più appetitose da una spadellata a fiamma viva con pochi aromi per dare al piatto una nota croccante.
Come procedere con questa ricetta ricca di proteine e bassa in colesterolo?
Il piatto è pronto per essere mangiato, anzi divorato dai vostri commensali.
Buon appetito!
E' tempo di rinnovarsi, di primavera e di sorprese.
E visto che la primavera è in arrivo, i primi cinque lettori che sulla pagina facebook del blog (http://www.facebook.com/pages/Bio-Si-pu%C3%B2/226416774105601)
lasceranno un messaggio, riceveranno in regalo uno dei 5 libri in "Giveaway" su argomenti di decrescita,fitoterapia, crescita personale, alimentazione.
Che aspettate ordunque?
Il concorso finisce il 21 marzo, affrettatevi!!!
A dire il vero, questo è ciò che il mio povero compagno si sente spesso dire durante il mese.
Non passa settimana senza che io faccia una piccola fermata alla biblioteca di quartiere: la giusta quantità di polvere, il gran numero di libri spesso introvabili e spesso risalenti a 40 anni fa, la copiosa quantità di riviste e quotidiani messi a disposizione, internet, i contenuti multimediali, il caffè... insomma, la bilbioteca sembrerebbe quasi un circolo ricreativo pubblico.
Ed effettivamente, le biblioteche romane sono diventate un punto d'incontro per i tantissimi ragazzi che ogni giorno ci si ritrovano per studiare (ebbene si, in quest'epoca duepuntozeroemezzo c'è ancora tanta gente che alza le mani dalla tastiera e va a studiare in luoghi pieni di carta frusciante), un centro multiculturale, e forniscono un ottimo servizio in termini di reperibilità di libri per circa l'80% delle ricerche effettuate.
Non conosco esattamente la situazione economica nella quale versano queste istituzioni, ma c'è davvero, rubando la frase al signor Spock, da augurar loro lunghissima vita e prosperità: arrivare nel quartiere di Roma Quarticciolo e vedere un centro come il teatro/biblioteca è un bene per gli occhi e per la mente: tantissimi metri quadrati di meraviglioso open space a due piani, con adiacente teatro per rappresentazioni, eventi culturali, manifestazioni di ogni genere non lascia davvero indifferenti.
La mia biblioteca di quartiere è leggermente più modesta, ma ugualmente vi si organizzano letture, pomeriggi per bambini, incontri. Effettivamente interpretare la biblioteca come un punto d'incontro fisico, reale, dove creare amicizie e scambiare idee la rende decisamente più accattivante dell'idea antica che abbiamo nelle nostre teste raffigurante vecchi bibliotecari impolverati preda di oscure ragnatele giganti, o di ectoplasmi verde fluorescente!
In questo contesto, la biblioteca aiuta ad uscire dal paranoico isolamento dato dal comunicare attraverso interfacce tecnologiche, le quali molto spesso ci fanno fraintendere o non cogliere appieno i significati di chi abbiamo virtualmente di fronte.
Ma nella biblioteca moderna c'è anche un altro aspetto da non trascurare: almeno a Roma, abbiamo la meravigliosa possibilità di usufruire del prestito interbibliotecario. Cosa significa, in parole povere?
Ottenendo la tessera della biblioteca con un piccolo contributo di 5 euro l'anno, e accedendo al portale www.bibliotu.it, possiamo ricercare l'autore o il libro desiderati su tutto il territorio di Roma e provincia, aumentando di molto la possibilità di trovare quello che cerchiamo in un catalogo di decine di migliaia di libri distribuiti su oltre 35 biblioteche.
Una volta trovato il libro, possiamo con un click chiedere il prestito interbibliotecario metropolitano (PIM) e farcelo recapitare alla biblioteca che desideriamo.
Con questo servizio, sono riuscita a trovare testi di qualsiasi tipo per i miei studi e il mio tempo libero, partendo dalla psicologia del lavoro per passare alla medicina naturale o a trattati di storia delle religioni, piuttosto che qualsiasi altra cosa ci passi per la mente.
Molti libri sono nuovissimi, appena usciti, altri (come dicevo prima), rare pubblicazioni ormai uscite dai cataloghi degli editori e perciò introvabili.
In questi tre anni di assiduo sfruttamento del servizio bibliotecario romano, con 15 euro ne ho risparmiati almeno 2000, e accresciuto la mia considerazione verso un servizio talmente efficiente da far invidia a molte aziende private.
Ma attenzione: essendo un servizio pubblico, vive anche dei contributi che i cittadini possono apportare. In poche parole, la biblioteca vive e ci offre tutto quello che ha se noi interagiamo con essa, la sfruttiamo e laddove serve la aiutiamo economicamente.
Le biblioteche di Roma sono un bene preziosissimo, manteniamole vive e ogni tanto facciamoci un salto!
Questa frase, letta pochi giorni fa su Facebook, sintetizza in maniera egregia il mio pensiero e quello di tantissime altre persone sull'utilità della "tecnologia" e dello stile di vita che ci spinge "avanti a tutti i costi".
Quando i primi elaboratori elettronici entrarono nelle grandi aziende, il nostro futuro appariva roseo, splendente: chi più chi meno, ci eravamo tutti convinti che a breve il lavoro di una intera giornata sarebbe stato svolto in pochi minuti, forse ore. Questo ci avrebbe reso liberi di lavorare meno, con una qualità e precisioni maggiori, e ci avrebbe regalato tante ore in più da dedicare al nostro benessere, alla famiglia, ad altre attività in generale.
Ricordo, da piccola, che vedevo mio padre lavorare 4 ore la mattina e 4 la sera, con due ore di pausa pranzo e una faccia stanchissima alla fine della giornata. E anche se qualche volta faceva gli straordinari o non dormiva per la preoccupazione di dover gestire una importante filiale di un noto marchio di mezzi di trasporto, mio padre non tirava notte con gli arretrati sul lavoro e raramente si portava il lavoro a casa da svolgere nei week end.
La tecnologia ci renderà liberi, pensavamo: liberi di muoverci, liberi di pensare a molte più cose, liberi di dedicarci ai nostri cari. Già immaginavamo le nostre giornate sdraiati sui prati con un soft drink in mano a risolvere con qualche click eventuali problemi di lavoro.
Ci ha traditi, la tecnologia. Ci ha traditi tutti.
Ecco alcuni esempi...
Lavoriamo di meno? Difficile affermarlo. Le nostre giornate lavorative si protraggono sempre oltre le otto ore, e se proprio dobbiamo andare a casa niente paura! Basta una chiavetta o una rete wireless per "consentirci" di terminare i nostri compiti anche fino a tarda notte. Se poi non dovesse bastare, ci sono sempre i fine settimana per portarci avanti con il lavoro.
Ah, quante email mi sono giunte in orari davvero bizzarri o in date sinceramente imbarazzanti: ma cosa induce la gente a tentare di chiamarti all'una di notte o scriverti il 26 dicembre?
Siamo più liberi? Non mi pare. I cellulari e le loro evoluzioni "furbe" ci "permettono" di restare collegati h24, 7 giorni su 7 con l'ufficio. Ci arrivano telefonate e email ovunque ci troviamo, sulla spiaggia come in montagna, in viaggio di nozze come ad un funerale. Siamo diventati tutti indispensabili (tranne quando andiamo a chiedere l'aumento di stipendio), colleghi e clienti hanno perso di vista il concetto che potremmo anche avere una vita privata, e senza nessun rispetto per noi e loro stessi pretendono la disponibilità infinita.
Una mia ex collega è stata contattata sulla soglia della sala parto, a quanto pare per una cosa urgentissima, io che sono stata più fortunata una volta sono stata contattata a casa da un cliente che aveva cercato il mio telefono di casa sull'elenco nonostante sapesse che ero a letto con un'otite e la febbre a quaranta.
Non solo: se hai un telefono aziendale sei tenuto ad assicurarti di averlo sempre funzionante nell'orario di lavoro, e invitato a lasciarlo acceso fuori di tale orario. Questo significa che se per caso hai la necessità di andare in bagno e qualcuno ti chiama al fisso e non ti trova, rischi nel bel mezzo di un bisogno di sentirti squillare la suoneria del cellulare (e che fai, non te lo porti al bagno? Dovesse chiamare qualcuno...)
La tecnologia ci facilita il lavoro, ci serve? Senza dubbio alcune pratiche che prima impiegavano mesi per viaggiare da un ufficio ad un altro sono state facilitate dalla tecnologia. Ergo, in molti casi, serve.
Ma la maggior parte delle persone non è facilitata da sistemi malfunzionanti che fanno perdere tempo e dati preziosi, non è facilitata dai migliaia di contatti che pretendono di essere soddisfatti contemporaneamente. La maggior parte delle persone non è facilitata dalla grossa comodità che la tecnologia potrebbe regalarci e cioè lavorare da casa: non lo è almeno in Italia per la cecità della cosidetta "classe manageriale" che non ha nè classe tantomeno capacità di gestione e che quindi "preferisce tenerci tutti in ufficio così può controllarci". E che gli frega a loro, intanto ti fai due ore di macchina se ti va bene (e aiuti il mercato delle auto a lavorare e i petrolieri a lucrare), poi stai almeno otto ore in ufficio, mangi fuori casa così aiuti anche il mercato della ristorazione, e una volta a casa sei pure autorizzato a lavorare fuori orario da casa, magari aggratis che fa bene alla carriera.
Così, il vantaggio comune (di lavoratori e datori) offerto dalla tecnologia di risparmiare risorse, tempo, soldi e stress se ne va in fumo e ci rende più schiavi di prima.
La tecnologia, utile per molti versi, ci rende simili a piccole macchine sempre disponibili, sempre reperibili, sempre pronte a lavorare o a rimanere in contatto con gli altri.
L'altro aspetto della tecnologia "marcia" infatti, è quello ludico: quanto tempo di vita reale perdiamo per stare appresso ai social network?
Quanto tempo rubiamo al nostro poco tempo libero, intenti come siamo a coltivare orti virtuali (salvo poi essere costretti a comprare verdure surgelate dell'ultimo momento), ad esprimere i nostri sentimenti sulle nostre bacheche, a battibeccare nei forum sull'ennesima discussione che non ci piace?
E poi: quante ore lavoriamo per poterci comprare l'ennesimo ultimo sfavillante smarphone, l'imprescindibile tablet ultraslim, la macchina fotografica supercompatta da un milione di pixel, il televisore a ultravioletti da 15000 pollici?
Siamo servi della tecnologia, schiavi di ogni suo aspetto. Dicè ha ragione, ma sbaglia sulla quantità di ore. Ormai, per far guadagnare banche e multinazionali, noi lavoriamo 24 ore al giorno.
Ma c'è sempre una via d'uscita: il tasto off. Basta saperlo usare!
Alzi la mano chi di noi non ha mai mangiato i golosissimi lupini in salamoia. Compagni di tanti snack, siamo abituati ad acquistarli già pronti al peso o in confezioni da 500/1000 gr.
Di solito non abbiamo la possibilità di determinarne il giusto grado di salatura (che dovrebbe sempre essere minima), e così ci ritroviamo a gustare questi deliziosi e proteici legumi insieme a quintalate di sale che di sano ha ben poco.
E' un peccato, perchè le proprietà del lupino, legume poco usato se non appunto come merende o snack, sono molteplici: è una fonte di proteine eccellente (43% circa), un alimento con spiccate proprietà anti colesterolo, un valido aiuto nel controllo dell'iperglicemia. Last, but not least, non contiene tracce di glutine, e la sua farina può essere utilizzata dalle persone affette da celiachia o intolleranza al glutine. Oltre che da tutti noi, naturalmente.
Dopo venti anni circa di oblio, grazie a numerosi studi il lupino è tornato alla ribalta, e ora viene usato in numerose preparazioni simili al muscolo di grano e che sostituiscono benissimo la carne.
Il vantaggio proteico del lupino è che può essere mangiato fuori dai pasti e quindi come unico alimento durante una merenda o uno spuntino. Le proteine contenute quindi potranno essere elaborate ed assimilate senza che l'apparato digerente debba fare altri sforzi per altri tipi di cibo. Inoltre mangiandolo prima delle 17:00, non abbiamo la pesantezza digestiva che una proteina può darci all'ora di cena.
Naturalmente, se li consumiamo durante un aperitivo a base di birre o alcolici in genere... la pesantezza potrebbe assalirci proprio dietro l'angolo!
Il lupino preparato in casa però ha bisogno di attenzioni (poche ma necessarie): contenendo il legume crudo (fresco o secco) un alcaloide tossico ad alte percentuali (è quello che da lo spiccato sapore amaro), deve essere tenuto in ammollo con numerosi cambi di acqua prima del consumo. Ma non preoccupiamoci troppo: le dosi tossiche per "avvelenarci" vengono raggiunte con quantità considerevoli di prodotto.
La preparazione in ogni caso è semplice anche se non proprio immediata, e garantisce l'assoluta innocuità del lupino nel momento in cui lo mangiamo.
Il costo di un kg di lupini secchi è di 3/4 euro circa, nel Lazio si trovano in quasi tutti i mercati rionali e si vendono sfusi. Con un kg di lupini secchi si ottengono circa 2 kg di lupini cotti, che vi assicuro sono una quantità notevole!
Dopo aver trovato sul web diverse ricette, tra cui alcune che suggeriscono di tenerli sotto l'acqua corrente per diverse ore se non giorni, sono arrivata ad un giusto compromesso (rubato l'idea a Meristemi) che mi fa ottenere in 6 giorni dei gustosissimi, nutrientissimi e poco salati legumi.
Preparazione:
1) lavo e tengo in ammollo in acqua fresca e sale i lupini per 8/12 ore.
2) risciacquo, li metto in una pentola con acqua fresca e sale e faccio bollire per un'ora circa. (il suggerimento di meristemi qui è quello di cambiare l'acqua un paio di volte durante la cottura, secondo il principio di Le Chatelier). Una volta lessati, li lascio nell'acqua calda per due ore circa.
3) cambio l'acqua dell'ammollo almeno ogni 12 ore nei primi tre giorni, aggiungendo una quantità minima di sale ogni volta.
4) arrivati al quarto giorno, l'acqua va cambiata più spesso (ogni 8 ore) oppure tenuti in frigo in ammollo. A questo punto è possibile testare il grado di amarezza e di sapidità del lupino, e decidere di continuare con gli ammolli e/o con l'aggiunta di sale. Se risultano troppo salati, è sufficiente eliminare il sale negli ammolli successivi.
5) intorno al quinto/sesto giorno, i lupini sono pronti. Se la "partita" di lupini in vostro possesso è particolarmente amara, continuare con gli ammolli fino al settimo giorno.
Una volta pronti, metterli nel loro contenitore definitivo insieme ad acqua e poco sale e conservarli in frigo, avendo cura di consumarli entro una settimana. Possono durare più giorni, ma perchè mangiare qualcosa di conservato quando con un minimo di programmazione potremmo averli sempre freschi?
Link utili:
http://forum.promiseland.it/viewtopic.php?=&p=160916
http://www.newsfood.com/q/205/lupino_un_ingrediente_speciale/
http://www.esserevegetariani.it/il-legume-del-cuore.html
http://www.compronatura.it/new/index2.php?option=com_content&do_pdf=1&id=146
http://forum.promiseland.it/viewtopic.php?f=36&t=26155
di idee.
Non me ne vogliano i miei amici laureati in Scienze della Comunicazione e marketers di professione, ma la pubblicità gioca brutti scherzi a chi la subisce.
In questo blog ho scritto di tutto, ma niente ha suscitato più ire del post nel quale parlo male anzi malissimo di uno "yogurt" liofilizzato proveniente dalla Nuova Zelanda.
Il post in questione è questo: clicca qui
Qualcuno mi ha scritto parlando in termini miracolistici del prodotto, un altro mi ha scritto che se pensiamo di farci lo yogurt in casa torneremo indietro di cento anni, un'altra ancora voleva che io comparassi le cose in una certa maniera piuttosto che come ho fatto io e mi suggeriva, se fossi stata onesta, di consigliare il prodotto nella versione naturale piuttosto che non consigliarlo affatto. La stessa persona è arrivata ad accusarmi di promuovere (?) marchi bio con i quali lei non si è trovata bene... a mio avviso aveva ingerito una dose eccessiva di quello yogurt che le ha annebbiato temporaneamente le idee.
Le cose sono due:
- o taluni di loro sono alle dipendenze di chi promuove il dessert in questione
- o è colpa della pubblicità.
Leggevo giusto ieri un interessante articolo sul calcio nel quale l'arguto autore commentava che finchè sono i calciatori a mentire su determinati eventi, è comprensibile. In fondo, ricevono un lauto compenso, non possono danneggiare l'immagine della società, etc etc.
Ma quando lo fanno i tifosi, a titolo gratuito e infervorandosi/spergiurando su argomenti che non dovrebbero nemmeno sfiorarli una volta finita la partita, beh... questo fa davvero pensare.
Ecco... a me fa pensare il "clamore" che un post come tanti altri possa aver suscitato nei "sostenitori" di un prodotto caro come pochi e che i venditori propongono come la panacea di tutti i mali.
Non c'è verso di far capire a queste persone che il mio blog parla di decrescita, biologico, autoproduzione e stili di vita salutari: probabilmente, se riuscissero a recepirlo non comprerebbero mai certe cose.
Ma d'altra parte, i malfermi di idee (occhio che questo è un termine che finito il post andrò subito a registrare) dipendono in molti ambiti da quello che il mainstream propone loro: attraverso la tivù acquisiscono il loro stile di vita, attraverso le pubblicità che sempre più vanno a toccare le emozioni o le preoccupazioni sanno cosa è meglio per loro.
Ci sono libri interessantissimi su questo argomento, uno su tutti, di qualche anno fa, è Il marketing all'assalto dell'infanzia (clicca qui per saperne di più).
Il libro, che consiglio a chiunque di leggere, ci descrive in maniera molto chiara come le aziende ci indirizzino fin dalla culla (e fino alla tomba) verso la fidelizzazione al loro brand.
Questa fidelizzazione però a noi che vantaggi porta? E invece, che svantaggi porta?
I malfermi di idee non hanno dubbi in proposito. I prodotti e i marchi hanno sempre ragione, e non importa se costano l'ira di dio o fanno milioni di km prima di arrivare a noi: ci sarà sempre un esercito di crociati che gratuitamente difenderanno fino alla morte (del fegato o del conto in banca, dipende) il loro amato brand.
I malfermi di idee si scaglieranno sempre contro coloro che osano smontare le loro convinzioni: d'altronde, se le mie certezze poggiano su frasi dette da chi vuole vendermi qualcosa, anche io mi incazzerei con chi me le demolisce.
I malfermi di idee sono prede facili del marketing, che si nutre delle loro paure e propone quintalate di farmaci per guarire tutto (pure la tristezza), che si fa l'aperitivo con le loro insicurezze e propina una moda costosa volubile e castrante, che prospera con la poca voglia di approfondire e fornisce loro pappe pronte in tutti i colori e milioni di cazzate che i malfermi consumatori compreranno a occhi chiusi.
Non osate mai toccare i totem a queste persone: saranno pronti a scrivere/dire qualsiasi cosa anche fuori dalla logica pur di difendere le loro labili stampelle che anche solo per un attimo li tengono in equilibrio sul mondo.
I malfermi di idee vogliono rimanere tranquilli e continuare a credere che basta un gioco di parole per trasformare una polverina magica proveniente da migliaia di km in un prodotto a km 0: vogliono credere che questa sia l'ecologia e che stanno facendo davvero qualcosa di ottimo per il pianeta e la salute, un pò come la simpaticissima Becky della saga I love shopping. Se ne sono convinti loro, chi siamo noi per pronunciare opinioni differenti?
Eppure, a queste persone servirebbe poco per tirare la testa fuori dalla sabbia. Due conti in tasca per capire che farsi in casa certe cose costa dieci volte meno e non ruba tempo, una lettura qua e là anche a prestito dalla biblioteca per allargare gli orizzonti mentali, un mesetto di alimentazione esclusivamente con prodotti freschi del contadino dietro casa.
Sempre che riescano a liberarsi dai condizionamenti mentali....
Letture stra-consigliate:
Susan Linn - il marketing all'assalto dell'infanzia ---- qui
Thomas Hine - Lo voglio! Perche siamo diventati schiavi del supermercato --- qui
Noemi Klein - No Logo
Sophie Kinsella - I love shopping con mia sorella
La neve a Roma ci ha portato un prezioso dono, non apprezzato da tutti ma di sicuro sfruttato appieno in casa nostra: il tempo libero.
Con apocalittiche previsioni di intere giornate di neve alle porte, la scorsa settimana ho fatto una piccola scorta di farine varie e diversi altri ingredienti intenzionata a sperimentare tutte quelle ricette che necessitano di ore e ore di lavorazione/riposo prima di raggiungere i nostri denti.
Libera da qualsiasi impegno che non fosse costituito da esigenze fisiologiche, ho iniziato il mio lungo weekend di cucina rilassata impastando, modificando, creando quasi dal nulla dei prelibati bocconcini che abbiamo poi mangiato con decisa voracità.
Con la farina 00, tre lavorazioni e 6 ore in tutto di lievitazione sono venuti fuori degli squisiti bomboloni fritti:
Con la farina 0 e quella di grano duro, unitamente a 7 ore di lievitazione e due impasti, delle croccanti pizze vegane:
Con il grano duro e 18 ore di lievitazione (più 4 lavorazioni), una meravigliosa focaccia pugliese:
Rotoli di ciccia a parte, la lunga lavorazione di un insieme di ingredienti che costituiranno il nostro pasto è rilassante e istruttiva, ci permette di seguire passettino dopo passettino la trasformazione degli elementi e la loro "crescita" (lievitazione), ci lascia il tempo per capire la differenza tra il cibo "vero" e quelle tristi imitazioni di cibo che troviamo già pronte e pluri-confezionate.
Cucinare con lentezza ci fa capire che con due soldi e un pò di impegno da parte nostra è possibile mangiare sano e fresco spendendo meno, e con un pizzico di fantasia si possono mangiare cibi che la grande distribuzione organizzata non ha ancora "inventato".
E' un ottimo modo per passare il tempo con i propri figli, e insegnargli le basi di quella che è stata la cultura alimentare/contadina dei nostri nonni: basta una pallina di impasto per far giocare/imparando un bimbo, e questa pallina costerà decisamente meno del Didò che troviamo nei negozi di giocattoli.
Ho notato inoltre che impastare a mano è un ottimo esercizio per chi come me usa il mouse 10 ore al giorno: i movimenti decisi, il dosare la forza a seconda delle esigenze del manicaretto fa muovere tutti i muscoli e le articolazioni della mano e dopo due giorni mi sono ritrovata con tanti doloretti ma con le mani molto sciolte.
Quindi, auguro a tutti noi di voler trovare il tempo per iniziare a cucinare con lentezza!
Il titolo è un pò forte, lo ammetto. Ma se vogliamo aprire gli occhi su quello che mangiamo e il prezzo che costano all'ambiente alcune scelte alimentari, di strage dobbiamo parlare.
Escludiamo per un momento tutto ciò che riguarda il consumo di carne, perchè oggi parleremo delle crudeltà che si nascondono dietro il nostro appetitoso piatto di mozzarella.
Il latte viene prodotto dagli animali per alimentare i propri cuccioli. Fatta eccezione per la mucca/capra/bufala che pochi di noi hanno la fortuna di ospitare come animale domestico, tutti gli allevamenti separano le madri dai cuccioli per evitare che questi ultimi consumino il latte destinato per natura a loro ma indirizzato per artificio al consumo umano. Nella maggior parte dei casi, i cuccioli femmine vengono allevati e destinati a loro volta a vivere una vita in schiavitù per produrre a loro volta latte, i cuccioli maschi subiscono una fine più grama...
I cuccioli delle mucche vengono destinati all'alimentazione umana, dopo essere stati alimentati con cibo innaturale per loro che causa anemie e altre gravi carenze. La vitella, quella fantastica "pietanza" che tanto cerchiamo per la sua tenerezza e per farla mangiare ai nostri bambini, è carne anemica di un povero cucciolo che vive le sue poche settimane di vita separato dalla madre e in un lager.
Ma se di strage vogliamo parlare, dobbiamo parlare dello "spreco" di vite animali che si perpetua per la produzione della ricercatissima mozzarella di bufala.
A quanto sembra, in Italia la carne di bufala è poco consumata. Partendo da questo presupposto, tutti o quasi tutti i cuccioli maschi di bufala vengono abbandonati dove capita, affogati nei corsi d'acqua, sotterrati vivi o soffocati con la paglia. Questa che pare sia una usanza tipica dei luoghi di produzione della mozzarella di bufala, fa sì che almeno 15.000 esseri viventi vengano scartati dall'industria casearia nè più nè meno alla stregua di immondizia. Capita spesso di ritrovare le carcasse di queste povere creature sul ciglio di una strada, in acqua o sulla sabbia, vittime di un'industria alimentare che ha perso il rispetto per la sacralità della vita su questo pianeta.
In questo perverso sistema, un animale che non serve diventa automaticamente spazzatura, un oggetto indegno di vivere e di consumare il cibo che gli spetterebbe di diritto in natura; è merce senza valore, da eliminare con i mezzi più economici a disposizione per non incidere sul fatturato.
Per una volta, una sola volta, quando ci metteremo a tavola per gustare quella appetitosa, succosa, saporita mozzarella che sia di bufala o di mucca, cerchiamo di percepire il rosso del sangue dei poveri animali attraverso l'immacolato candore di quel sepolcro imbiancato che abbiamo nel piatto. Una volta fatto ciò, potremmo anche constatare che il costo in termini etici, umanitari, morali e anche sociali di quei 300 grammi di alimento è infinitamente troppo alto per la nostra coscienza.
Pasta e ceci, altro classico piatto povero ma con un valore alimentare elevatissimo, in quanto ricco di proteine e degli aminoacidi necessari ai processi biologici. Le paste con i legumi sostituiscono i pasti a base di carne, e sarebbe bene mangiarne più volte a settimana per alternare la fonte di proteine (questo è rivolto a chi ovviamente mangia carne, chi è veg* e ha studiato sa benissimo che si vive anche senza carni).
Va da sè che anche questo è un piatto completo e non andrebbe fatto seguire cibo alcuno, piuttosto si può mangiare prima della minestra una ricca insalata mista per aumentare l'apporto di fibre.
Ingredienti:
Ceci bagnati o secchi
rosmarino
aglio
olio sale pepe
Pasta di farro
Tempo di cottura: 3 ore circa
Tempo di ammollo: una notte
Solo i ceci secchi vanno messi in ammollo in acqua per una notte o per dodici ore.
Primo step:
Mettere i ceci in abbondante acqua fredda con aglio, rosmarino e sale e portarli a cottura al dente .
Secondo step:
Scolare i ceci e metterli in una pentola di coccio o di acciaio insieme a aglio, olio e rosmarino. Far insaporire per una decina di minuti circa, dopodichè aggiungere acqua (flitrata mi raccomando) a volontà. Aggiustare di sale e lasciare sobbollire dolcemente per almeno un paio di ore.
Dopo una oretta, verificare il livello dell'acqua, nel caso fosse poca aggiungerne, se fosse troppa alzare il fuoco. Alla fine delle due ore totali di cottura, il brodo formatosi dovrebbe essere decisamente saporito, prendere quindi un piattino di ceci e schiacciarli con la forchetta. Rimettere i ceci nella pentola e portare ad ebollizione. Cuocere la pasta che deve essere piccola e corta (ideale i tubetti al farro, ma anche i ditali vanno bene) piuttosto al dente e lasciar riposare la minestra per dieci-quindici minuti.
Servire nei piatti accompagnata da olio extravergine a crudo e per gli adulti da peperoncino o un pizzico di pepe.
Autore - Barbara
suggerita da - Nando
categoria - Minestre / piatti unici
Sono cresciuta con il sempre presente monito che in molte situazioni è bene evitare di parlare di argomenti quali il calcio, la politica, la religione. In ordine sparso, queste tre aree di interesse sembrano toccare nel vivo la sensibilità delle persone, che si accalorano e talvolta si accapigliano su discussioni nate da una battuta e che sfociano poi in vere e proprie risse verbali: gente che parla delle rispettive posizioni religiose come se ognuna di esse avesse la risposta per risolvere tutti i problemi sociali, altra che discute sui campioni di calcio parlandone e idolatrandoli come se fossero degi dei, e altra ancora che disquisisce finemente di politica in termini calcistici, botte comprese.
Ma un nuovo fronte sta raggiungendo velocemente questi tabù che ci accompagnano ormai da oltre 60 anni: l'alimentazione.
Come già si diceva in altri post e luoghi, siamo gli unici esseri viventi che senza i consigli di esperti, scienziati e parenti saccenti non riusciamo proprio a capire cosa mangiare. Vaglielo a dire al lupo o al muflone se perdono tempo in conversazioni dal dietologo, dal nutrizionista o altrove...
Ma c'è di più: limitati forse dall'educazione ricevuta dai nostri genitori sui precedenti tabù, non potendo sempre accapigliarci sui mitici tre, ci buttiamo a capofitto in infinite querelles sulla dieta a zona o su quella dei gruppi sanguigni, piuttosto che del minestrone.
Mentre le risorse ambientali stanno velocemente esaurendosi, milioni di bambini e persone nel "terzo" mondo muoiono di fame, e svariate centinaia di migliaia nel mondo civilizzato muoiono (obese) di malnutrizione, noi ci lanciamo in guerre sante più intense di quelle avvenute nel passato.
Ci dividiamo in fazioni, in ognuna delle quali qualcuno è convinto o stato convinto che:
Non passa giorno senza che questi punti e un migliaio di altri vengano confermati, smentiti, rivisitati, riconfermati, etc etc etc. Basta un esempio su tutti: le quantità minime e massime di proteine sono state riviste decine di volte nel corso di ottant'anni, fino ad arrivare ad una quota molto più bassa di quanto molte persone siano convinte.
Giusto ieri ho visto su Fb che esiste un gruppo costituito da studenti, medici e simpatizzanti creato per smentire, sbugiardare, perculeggiare un personaggio che parla di alimentazione vegana e igienismo. Sarebbe carino chiedere a questi signori su quali testi studiano e se si aggiornano quotidianamente dei numerosi studi e cambiamenti che ogni giorno vengono pubblicati. Sarebbe carino, perchè molto spesso quando andiamo da un medico o da un nutrizionista, le ultime nozioni di alimentazione che hanno ricevuto risalgono a un decennio prima e sono state studiate su libri di testo vecchi di altri dieci anni; nel frattempo, se in due mesi ci sono ribaltamenti di tutti i tipi, il professionista di turno lavora con nozioni base di almeno 20 anni prima.
Non passa giorno senza il quale almeno una persona tra i nostri conoscenti si permetta di criticare il regime alimentare di qualcun altro e a farne oggetto di scherno. Siamo talmente ignoranti in materia ma talmente convinti di saperne da perdere di vista la prima, fondamentale regola del vivere in mezzo alla gente: il rispetto per gli altri e per le loro scelte.
Se una persona è vegana non ha una brutta malattia, non ha il cervello bruciato dall'ortoressia e non deve giustificare al mondo le proprie abitudini.
Se una persona viceversa è onnivora, ha tutto il diritto di esserlo senza essere attaccato dalle altre "fazioni", sebbene sia utile che abbia la consapevolezza di CHI era il cibo che mangiano.
Se rimaniamo sulle nostre posizioni e convincimenti alimentari ma ogni giorno ci fa male qualcosa e/o assumiamo medicinali, forse sarebbe utile aprire un pochino la mente e, dopo essersi fatti un giro sul web per vedere articoli che dimostrano tutto e il contrario di tutto sull'alimentazione, cominciare a scrutare nuovi orizzonti.
Il nostro nemico è uno solo: l'ignoranza che ci fa delegare la responsabilità di un atto talmente naturale da essere strettamente legato alla nostra sopravvivenza (leggasi mangiare). L'ignoranza ci fa compiere azioni illogiche e ci convince che non è l'organismo a comandare ma coloro che ci suggeriscono cosa dobbiamo fare. Deleghiamo deleghiamo deleghiamo, e prendiamo parte a tafferugli che non hanno senso di esistere.
Nell'alimentazione, come in tutto il resto, è il buon senso che dovrebbe guidarci; il buon senso e non la chimica o la fisica di chi studia in vitro e già che ci siamo ogni tanto vuole propinarci l'idea che "fresco è nocivo, in scatola è salute" (come la campagna di una nota marca di cibo per l'infanzia, che ha comparato il suo cibo con quello fresco relegando quest'ultimo a "prodotto" poco affidabile)
Ascoltare il nostro corpo e i nostri segnali ci sarà di grandissimo aiuto, sempre che prima riusciamo a disintossicarci dalle mille alterazioni provocate da conservanti, additivi e tossine varie.
Informarci, conoscere, documentarci da più fonti ci aiuterà a capire che molti luoghi comuni sul cibo sono delle emerite fregnacce in tutti i campi, e che più riusciremo a mangiare fresco (non parlo della porchetta appena sfornata o della coca cola messa in frigo) e privo di "orpelli" più saremo liberi dalla grande distribuzione organizzata e dai pasti precotti.
Certo, a quel punto sarà difficile per gli espertoni salire in cattedra e dirci che dobbiamo mangiare 100 grammi di questo piuttosto che 70 di quell'altro, ma a quel punto tireremo fuori dal cilindro un caro, vecchio argomento tabù che soddisferà la loro sete di "sangue e arena".
Chiudo questo post con una citazione "leggermente" di parte, ma pronunciata da colui che cento anni fa ha mosso i primi passi verso quella fisica quantistica che solo da pochi anni è alla portata di tutti:
"Sono diventato vegetariano per ragioni etiche, oltre che salutistiche. Credo che il vegetarismo possa incidere in modo favorevole sul destino dell'umanità. - Albert Einstein"
Ps: ovviamente se qualcuno avesse bisogno di un sostegno morale per liberarsi dal trash food si senta libero di contattarmi!
Ci stiamo specializzando, ognuno di noi nel suo piccolo è specializzato in qualche ambito, quindi si può dire sia uno specialista. Ma abbandoniamo subito l'idea Hollywoodpacchiana (clicca qui) dell'eroe esperto e vendicativo, e torniamo alle nostre specializzazioni: chi siamo e cosa facciamo? di solito, ognuno ha grande esperienza su una piccola area di sua competenza, e all'interno della stessa ha magari la sua specifica piccola nicchia, al di fuori della quale diventa pesce fuor d'acqua.
Questa settorializzazione, poco funziona in tempo di crisi: più è alto il livello di conoscenza settoriale di un micro particolare, maggiori sono le possibilità di rimanere a casa se le aziende chiudono.
Lo specialista in Italia che perde il lavoro ha poco modo di ricollocarsi in altri ambiti: per chiusura mentale (del singolo e delle aziende) o per disabitudine sociale, non è in grado di trasformare la sua esperienza pluriennale in un nuovo lavoro, in nuove conoscenze e contributi da portare alla comunità. In parole semplici, non ti vogliono.
E in questo, interviene Monti a darci coraggio: il posto fisso è noioso, dice, ma vallo a spiegare a tutti quei poveracci che lavoro non riescono più a trovarlo perchè il loro curriculum da ingegneri super geniali non è adeguato per fare il cassiere in un supermercato.
Così, se finora molti di noi avevano creduto che entrare nel particolare sarebbe stata la mossa vincente per una carriera fulminante, di questi tempi stiamo forse considerando il fatto che ci siamo infilati in un imbuto nel quale siamo rimasti incastrati. La nostra generazione è cresciuta con la convinzione che c'è un mestiere (e quindi un omino) per tutto: dall'idraulico al pittore, passando per le mille differenze di mestiere tra i medici, e continuando in qualsiasi campo con altisonanti appellativi anglofoni che fanno bella figura sui biglietti da visita ma che poi quando spieghi agli altri cosa fai non riesci a capirti neanche tu. Strutture su strutture, vertici gerachici (o orizzontali) su vertici, nella nostra quotidianità abbiamo bisogno di schiere di "omini" che con la loro specializzazione risolvano le nostre faccende.
Certo, potremmo pensare, ma così facciamo lavorare tanta gente: prima di medico c'era solo quello curante e al limite il chirurgo, ti serviva qualche rattoppo in casa chiamavi zio Gino che aveva le mani d'oro e sapeva far tutto, volevi mangiare e andavi a raccogliere la verdura nell'orto dietro casa... e come fai a lanciare l'economia e l'illusione della crescita infinita se ti rendi completamente o quasi autosufficiente?
Sfortunatamente, questa creazione mostruosa di decine di migliaia di nuove figure, ci ha reso decisamente meno autonomi e del tutto dipendenti dal sistema; abbiamo un lavoro (forse), ma non siamo più in grado di procacciarci del cibo o di costruirci un tetto sulla testa. E questo significa non essere più liberi ma dipendere totalmente da un sistema economico e sociale che quando vuole può staccarci la spina del respiratore artificiale.
Abbiamo assorbito dentro di noi la parcellizzazione del mondo e lo abbiamo diviso in tante piccolissime scatole (talvolta matrioske) nelle quali ci chiudiamo e dalle quali scrutiamo impauriti tutte le altre scatole. Chi ci impedisce di aprirle e iniziare a "lavorarle"?
Siamo diventati poco elastici, non ci passa neanche per la testa se non quando proprio non se ne può più di cambiare totalmente vita e mandare a quel paese il "posto fisso" o le altre abominevoli, aberranti derivazioni. E nemmeno reagiamo con adeguatezza quando un ricco sfondato dall'alto della sua poca benevolenza ci dice che dovremmo adeguarci ad essere precari: lui e le sue prediche, insieme a questo sistema di coercizione mentale che ci induce a essere consumatori e non persone, dovrebbero solo che andare nel cassonetto per l'indifferenziata.
Il posto fisso può essere un concetto che a qualche grande, moderno stratega proprio non va giù, ma per come è messa l'Italia e per le garanzie che le banche chiedono quando compri casa, è necessario; così come è necessario se hai una famiglia da far mangiare tutti i giorni o debiti da saldare ogni fine del mese.
Il posto fisso può essere abbandonato, a patto che si cambi vita e si esca dal sistema delle multinazionali, dei centri commerciali succhia anima, dei gadget tecnologici che creano bisogni ogni 5 minuti, della televisione spazzatura. Ma deve essere una decisione che nasce dalle persone, e non una esternazione di chi di posti fissi ne ha avuti a profusione e ha sempre dormito con la pancia piena.
Poi, come ogni cambiamento epocale, si può sempre affrontare la faccenda con calma e tranquillità, iniziando poco alla volta ad ampliare le nostre scarse vedute: un giorno impariamo a fare la pasta, un altro giorno a riparare un sifone, la volta dopo partecipiamo ad un piccolo corso di agricoltura.
L'era delle specializzazioni sta finendo, arriviamoci preparati!
Ecco un'altra ricetta adatta al freddo e all'umidità che in questi giorni ci attanaglia. La zuppa piccante ci aiuterà anche a togliere quel fastidioso senso di freddo nelle ossa e libererà le nostre vie respiratorie, una panacea quasi medicinale più che un caldo pasto invernale.
La ricetta e il post sono opera della Titty, la foto sarà postata al più presto!
Ingredienti:
1 cucchiaio di paprica
1 cipolla grossa a fette sottili
1 peperone giallo a pezzetti piccoli
200 g di carote a rondelle
200 g di verza a listarelle
250 g di patate a dadini
1 cucchiaio di farina
2 litri di brodo vegetale
prezzemolo tritato
sale e pepe
olio
Tempo di cottura: un'ora circa
Scaldate un po' d'olio e soffriggete la cipolla a fuoco medio.
Aggiungete la verza e fatela rosolare con la cipolla per alcuni minuti
Cospargete di farina, mescolate e bagnate con un bicchiere di brodo; insaporite con la paprica e portate ad ebollizione
Unite le carote, le patate e il peperone alla verza e aggiungete il brodo restante; coprite e fate sbollire per 40 minuti
Togliete dal fuoco, salate e pepate a piacere; trasferite in una zuppiera e decorate con del prezzemolo tritato prima di servire.
Poi mangiate.
Poi asciugatevi il naso.
Poi non andate a letto con vostra moglie, a meno che la paprica non inizi a sortire effetto.
La dose è per circa 4-6 persone, a seconda delle altre portate e della fame.
suggerita da - Tiziana
Mediamente, ogni bottiglia o flacone di plastica che noi utilizziamo ha un impatto ambientale in termini di anidride carbonica di circa il doppio del suo peso. Per la produzione di un flacone da cento grammi, ad esempio, si emetteranno 200 gr di co2 totali. Nel momento in cui viene gettato nell'indifferenziata, o rimane per 5000 anni circa nell'ambiente, o contribuisce ad aumentare sostanze tossiche e polveri sottili se incenerito nei termovalorizzatori.
Il consumo quotidiano di acqua in plastica, per una famiglia di 4 persone, è di almeno 4 litri di acqua, 3 bottiglie (raggiungendo l'invidiabile risultato di 90 bottiglie al mese). Il consumo mensile di shampoo è di circa 2 flaconi, quello di bagnoschiuma 2 flaconi, di prodotti di pulizia per la casa (detersivi vari, sgrassanti e vari), 10. A parte il fatto che questo spreco ci fa andare quasi tutti i giorni al cassonetto dell'immondizia perchè gonfia in maniera esagerata i nostri contenitori, ogni mese buttiamo almeno 104 recipienti in plastica per liquidi. 100 gr moltiplicato 100 contenitori, fa 10 kg, cioè circa 20 kg al mese di CO2 per famiglia. Alla fine dell'anno, il nostro usa e getta sconsiderato avrà impattato per 120 kg di CO2 solo in flaconi e bottiglie.
A parte questo piccolo, insignificante dettaglio, visto che viviamo in un mondo dalle risorse finite e in via di esaurimento, è sempre abbastanza strano utilizzare qualcosa per una breve durata e gettarlo nonostante sia destinato (come nel caso dei flaconi) a durare per tutta la nostra vita.
Riutilizzare questi prodotti si deve e si può, è facilissimo e di basso onere.
Premesso che le bibite e l'acqua nella plastica andrebbero assolutamente evitate per problemi di salute oltre che di impatto ecologico, riempire i contenitori vuoti con acqua di rubinetto filtrata con un buon elettrodomestico è possibilissimo. La spesa iniziale per installare un erogatore d'acqua può essere ammortizzata in un anno, massimo due, ma la spesa ambientale sarà subito abbattuta dal momento che smetteremo di utilizzare questo "servizio".
E' interessante guardare il video la storia dell'acqua in bottiglia se vogliamo renderci conto dell'inutilità di questa industria e del danno ambientale che provoca: clicca qui
Per quanto riguarda i flaconi dei detersivi, è ormai possibile acquistare in molti punti vendita e nei supermercati i detersivi alla spina (sia ecologici che un po' meno): l'unica accortezza è acquistare la prima volta il flacone di quella marca di dispenser e poi utilizzarlo all'infinito. Io sono la felice padrona di tre contenitori (due per liquido lavatrice e uno per piatti) ormai giunti al loro quarto anno di età. Considerando che io utilizzo di media un detersivo lavatrice al mese e mezzo detersivo piatti, ad oggi ho risparmiato 72 contenitori.
In aggiunta, la marca Emulsio (che a onor del vero non è molto ecologica) ha messo in vendita una serie di detergenti concentrati delle dimensioni di un cilindro di qualche centimetro: si riempie di acqua calda un flacone che abbiamo già in casa, inseriamo il cilindro, e in pochi secondi e senza altra plastica tra i piedi abbiamo liquido pavimenti, sgrassatore, vetri, etc etc. Il prezzo è conveniente e anche questo prodotto sebbene inquini risparmia l'impatto ambientale di numerose decine di oggetti in plastica l'anno. La speranza è che anche le marche ecobio inizino ad adottare questa iniziativa, in modo da avere prodotti perfettamente ecocompatibili e a CO2 prossima allo zero.
Con questi semplici gesti, riusciremo a contribuire in maniera decisiva all'annoso problema dei rifiuti risparmiandoci diversi kg pro capite di smaltimento, e a contribuire alla costruzione di un ambiente più sano per noi e l'ecosistema tutto.
Tempi di smaltimento rifiuti : clicca qui