domenica 18 settembre 2011

Il mondo del Biolavoro


Immaginatevi il perfetto ecoconsumatore, che fa la differenziata fino al delirio o consuma solo prodotti a kmzero/bio/distagione/ancheipiùbruttinicheporellinonselicompranessuno...


Immaginate questa stessa persona che a casa ha solo elettrodomestici Classe A, fornitori elettrici certificati verdi, cappotti isolanti, sistemi di recupero delle acque grigie e piovane, compostaggio e orto sul balcone.


Questo ecoconsumatore comprerà quasi certamente da produttori diretti la maggior parte delle cose, o autoprodurrà una consistente fetta. Ma, quando deve andare a fare i necessari acquisti, dove va? Da ecoconsumatrice attenta e non così brava come l'ipotetico da me descritto, compro da supermercati o empori bio, da amiche fidate e frequento le erboristerie che non si buttano sul soldo a tutti i costi ma puntano su prodotti ecocompatibili, naturali, e se possibile locali. 


Essendo una persona molto sensibile alle problematiche lavorative di questa triste decade (e anche delle precedenti) non mi ero però mai soffermata sull'aspetto lavorativo di queste verdi e luccicanti realtà. 


Errore gravissimo... perchè dietro a queste insegne che richiamano al rispetto per la natura e per la salute, non sempre si concede lo stesso rispetto a chi lavora.


Capità così che l'emporio bio o il piccolo o grande franchising che distribuiscono i (santi) prodotti del commercio equo e solidale atti a garantire ai lavoratori del terzo mondo delle decenti condizioni di vita, non abbiano la minima intenzione di garantire le stesse decenti condizioni di vita ai disgraziati che capitano sotto le loro grinfie qui in Italia.


Ho avuto notizia di un emporio bio che, oltre a non mettere in regola per parecchi mesi i lavoratori, garantiva uno stipendio di cinque ore giornaliere (e relativa paga) a fronte però di un orario di lavoro di quasi il doppio. Turni massacranti, niente straordinari, niente malattie e ferie o se le fai non ti paghiamo, stesso metodo di gestione del personale di un qualunque discount.


Sarà la sporadica notizia di un mondo diversamente perfetto? Ne dubito.


Quello che le aziende bio dovrebbero invece fornire è una dichiarazione scritta e disponibile a tutti i clienti nella quale si impegnano a garantire a tutti i lavoratori degne condizioni. Altrimenti, tanto vale comprare al discount, o meglio ancora, fare assolutamente a meno dell'intermediazione e comprare direttamente dal produttore o attraverso i Gruppi di Acquisto Solidai (aka GAS).


Non solo gli empori o i supermercati bio hanno però le loro pecche... 


Il massimo lo ha raggiunto un "erborista" da oltre 20 anni che proprio davanti a me ha detto "Questi (i clienti) comprano comprano, spendono un sacco di soldi, ma mi fanno pena. A me gonfiano il portafoglio, ma non sanno che gli erboristici non servono a niente..."


Roba da far cadere i denti.


Il sunto del discorso è che non è sufficiente essere precisi e ligi al mondo dell'ecobio se non c'è rispetto per le persone che lavorano in questo mondo. Il nostro sforzo di ecoconsumatori attenti e responsabili deve essere massimo e deve spaziare su tutti i fronti, senza sosta e senza concessioni. Diversamente, rischiamo di essere come le milanesissime "ecosciùre" che vivono il bio come una moda e la decrescita come un'operazione di ragioneria.


Buona caccia!!!


mercoledì 31 agosto 2011

Sogno di un'indignazione di fine estate

Leggendo qua e la, ho notato che molte persone sono indignate per lo sciopero dei calciatori o per i dolori finanziari dei tanti vips e ricconi che quest'estate vogliono esternarci la loro situazione miserevole.


Che lo facciano per guadagnare "consensi" o per motivi a noi sconosciuti, queste uscite suscitano in noi reazioni di rabbia e indignazione. "Come", pensiamo, "navigano nell'oro e si permettono di lamentarsi? E noi che dobbiamo dire allora?"


Cosa dovremmo dire non saprei, so per certo però che queste uscite, vere o finte che siano, distolgono le nostre menti da problemi molto più pressanti e a noi vicini. L'economia, ci dicono, va molto male. La finanziaria ci "regalerà" un autunno/inverno/primavera/estate che lascerà molti di noi sulla soglia dell'indigenza. Ci tolgono detrazioni, aumentano tasse, riducono i servizi in toto e noi che facciamo?


Ci incazziamo per gossip che veramente lasciano il tempo che trovano.


Lo fanno apposta, sapete? E' la vecchia tecnica del genitore che per distrarre il bimbo dalla bua o da un capriccio gli mette sotto gli occhi una robina colorata e affascinante che lo distrae completamente.


Durante il parto di questa finanziaria sconvolgente, hanno montato e gonfiato lo sciopero dei calciatori fino a farne un caso di vita e di morte. E noi ci abbiamo abboccato, riempiendoci la testa di critiche nei loro confronti e lasciando poco spazio alla riflessione sul da farsi per fermare lo scempio che ci aspetta dietro l'angolo.


Calciatori, vips, gente famosa uscita dal nulla, ottengono onori e gloria nella misura in cui noi diamo loro attenzione. Attraverso gli immondi giornali di spettegolezzi che alimentano la loro fama, ci danno l'impressione di vivere attraverso di loro una rutilante vita di ribalte. Gli diamo importanza, ne alimentiamo il "mito" e il conto in banca, ci infervoriamo se tizio lascia caia o la squadra dove ha militato per anni e ne discutiamo per secoli, divisi in fazioni che si riparleranno magari dopo dieci anni a causa di questi (inutili?) confronti.


Nel frattempo, accettiamo passivamente il fatto che  i nostri emolumenti si assottigliano sempre più o che per mandare a scuola i nostri figli dobbiamo pagare anche la scuola pubblica.


Ci stanno togliendo pure le mutande, ma noi ci alteriamo per un finto sciopero che di eclatante ha solo il numero di persone che ne parlano. Ci stanno togliendo il futuro, ma invece di organizzarci e fare un vero sciopero di due tre mesi consecutivi, accendiamo la tv e sentiamo le tristi vicende dell'ennesimo fallito di turno, o peggio seguiamo per anni con sete di truci particolari i delitti che salgono alla ribalta.


E' in momenti come questi che penso che la mia voglia di fare abbia poca speranza quando si scontra con cotanta inconsapevolezza, e proprio in questi momenti la mia intolleranza all'idiozia sale a livelli monumentali.


Stiamo vivendo un sogno, e pure di serie B. Stiamo indignandoci per il nulla, un triste nulla.


Sarà il caso di svegliarci, prima o poi?

venerdì 19 agosto 2011

Diario di un orto modesto - part II

Il caldo si è fatto sentire, e il fatto che il mio balcone sia esposto ad un assolatissimo e privo di protezioni west-side, non ha aiutato molto il mio balc-orto. L'anno prossimo dovrò attrezzarmi con frasche o protezioni dai forti raggi solari...


In compenso, il cocente sole pomeridiano sembra essere amato dai peperoncini che hanno procreato a non finire dei frutti enormi, e dal rosmarino che cresce felice nel suo grande vaso.


Niente da fare per i semi di stevia, e la luffa cresce a stento, ma credo sia un problema di vaso troppo piccolo (altra nota per il prossimo anno!).


La povera passiflora se la sta vedendo davvero brutta, è chiaro che il sole diretto non fa proprio per lei, mentre la bouganvillea, opportunamente imboscata a nordovest, cresce rigogliosa e beata.


Le colture per l'autunno crescono a stento, i miei cavolini di bruxelles ce la faranno a spuntare prima di natale 2021? Speriamo...


Altre piante mi stanno dando soddisfazione: le fragole seminate in aprile che spuntano adesso, l'insalata misticanza, la lavanda da me completamente potata 20 giorni fa ha già buttato fuori decine di getti, e il bel mandarino nano che quest'anno pare essere privo di parassiti e può fiorire in tutta libertà.


Devo ammettere che l'idea dello spicchio di aglio piantato indiscriminatamente in tutti i vasi ha avuto il suo sporco perchè.... 


Adesso farò riposare la mia "terra", in attesa di climi più freschi per poi procedere con le colture invernali... Naturalmente seguendo l'ormai aurea regola del "poco e piano piano".

lunedì 15 agosto 2011

La civiltà della paura

Se qualcuno avesse ancora qualche dubbio a riguardo di cosa questa civiltà rappresenti, se lo tolga una volta per tutte. Questa è la civiltà della paura. Abbiamo paura di tutto: dell'ignoto e del noto, delle malattie e della (troppa?) salute, dell'essere poveri e dell'essere ricchi, della solitudine e dell'amore.


Abbiamo paura di non poter essere noi stessi, ma quando ci danno la possibilità di esprimerci, ci impauriamo per la troppa libertà... e se qualcuno non apprezzasse la nostra essenza?


Ci lamentiamo, viviamo con la testa sotto la sabbia, alimentiamo le nostre paure interne con altre indotte dal sistema e dai media; niente di meglio per svegliare i nostri demoni che un bel film splatter o, fa lo stesso, un tg durante i pasti.


Taciamo per quieto vivere, per paura di suscitare reazioni negli altri, di perdere un'amicizia, i nostri averi, un misero posto di lavoro. Abbiamo sempre qualcosa da perdere, quindi, è meglio tacere e macerarci nei nostri timori.


Siamo schiavi di mille debiti, di mille carte di "credito", di migliaia di oggetti per la sorte dei quali viviamo momenti di pura apprensione quando li lasciamo a casa (e se durante la nostra assenza ce li rubassero?). Schiavi del conto in banca, del piano pensionistico, dell'assicurazione sulla vita.


Ogni oggetto in più che entra nelle nostre vite è un elemento che carica i nostri cuori di ansia e paura per cosa gli altri potrebbero farci pur di togliercelo. Quasi ogni esperienza a pagamento è fonte di preoccupazione: un viaggio in terra straniera deve essere preceduto da mille precauzioni e magari vaccinazioni, un anello con diamanti rappresenta un rischio per la nostra incolumità, una macchina nuova attira ladri e invidie, la casa comprata con il mutuo della banca può sempre tornare alla banca se perdiamo il lavoro.


Viviamo in un mondo distorto, fatto di sola materia ma che non usa l'unica materia buona, quella grigia del cervello.


Ma se ci fermassimo a pensare un momento, capiremmo che, per come siamo messi, non c'è più nulla di cui aver paura... siamo sull'orlo del collasso, e l'unico modo per andare avanti è rimboccarci le maniche e uscire da questo sistema sociale che alimenta paura, diffidenze, odio. 


E' nostro dovere di esseri pensanti (se ancora lo siamo) capire che non abbiamo bisogno di uno stato che continua a vivere sulle spalle di qualche milione di lavoratore sempre più tartassato e che, oltre a pagare tasse e gabelli, deve pure pagarsi privatamente qualsiasi tipo di assistenza abbia bisogno.


Bisogna uscire dal clichè che il lavoro esiste solo se esiste un "datore di lavoro". Anche questa è una paura, che ci attanaglia stomaco e visceri e ci rende schiavi per mille euro al mese.


Fermiamoci un attimo, proviamo a sentire di cosa abbiamo veramente bisogno e iniziamo a liberarci da tutte queste paure indotte che permettono a chiunque di controllare le nostre vite.


Iniziamo ad essere noi stessi, ad esprimere con rispetto le nostre idee, a rifiutare lavori sottopagati e tartassati. La "crisi economica" vive e cresce della e nella paura della gente, togliamole forza e potere.


Basta cominciare, con piccoli passi adatti ad ognuno di noi. E' facile, se per un attimo accantoniamo la paura.

mercoledì 27 luglio 2011

Less is more. Diario di decrescita step by step. 3° step: le riviste

Il terzo step è leggero, adatto al clima estivo che non consente grossi sforzi mentali e fisici...


Un modo per decrescere in maniera efficace e molto semplice è gestire in maniera oculata la mole di riviste che compriamo.


Tutti noi abbiamo in casa una gran quantità di riviste, comprate all'edicola o in abbonamento, che si accumulano in pericolose montagnole pronte a caderci addosso alla prima occasione.


Tempo fa scrissi che potevamo fare una condivisione di tutto quello che leggiamo e poi non vogliamo tenere, una sorta di bookcrossing dedicato ai magazines. E' molto semplice attuarlo, basta mettersi d'accordo con vicini, parenti ed amici e invece di mandare alla discarica un discreto mucchio di carta, alla fine del giro ci arriva una sola copia. Un altro modo è quello di donare ad ospedali, studi medici e annessi il surplus di carta stampata che abbiamo in casa.


Si risparmia molto, in termini di risorse ambientali e di denaro speso, ma mi rendo conto che per gli editori questa decrescita può rappresentare un danno economico.


Per chi volesse aiutare l'editoria (sebbene tutte le testate di gossip andrebbero affossate anzichè aiutate), ci viene in aiuto ancora una volta il nostro amatissimo ed inseparabile computer.


Molte riviste infatti escono in formato digitale, adatte sia per pc che per i dispositivi più evoluti quali i tablets (Ipad o Galaxy per intenderci) e i lettori di ebook.


Diverse applicazioni inoltre consentono di organizzare le nostre letture e di tenerle archiviate in ordine, come faremmo con i raccoglitori impolverati che abbiamo in casa.


E molte testate offrono la possibilità di acquistare la singola copia o di fare abbonamenti personalizzati di 3,6 12 mesi.


Il formato elettronico tra l'altro rimane sempre disponibile sul proprio pc (e sulla rigorosa copia dell'hard disk che tutti noi dovremmo fare periodicamente) e la ricerca degli articoli risulta più facile e veloce.


In casa avremo lo spazio per muoverci senza rischi, senza polvere e con una coscienza ecologica più pulita. E magari, con tutto quello spazio, a qualcuno verrà anche voglia di comprare qualche libro oltre ai giornalacci di gossip :-)

giovedì 21 luglio 2011

Lo scaricabarile è antiecologico

In questi giorni il mio karma mi fa incontrare ripetutamente lo sport preferito dagli italiani, lo Scaricabarile.


Questa oscura e misteriosa pratica, nata forse dall'esempio dato da Ponzio Pilato di mani lavato, è applicata con una assiduità tale che se fosse inserita come risorsa nel Pil dell'Italia ci renderebbe la nazione con la maggiore produttività mondiale.


Quanti di noi hanno perso tempo, soldi e anche la tranquillità mentre, speranzosi di risolvere un problema, ci rivolgevamo invano a sportelli, numeri verdi, indirizzi e santi patroni? Le persone che potrebbero in una manciata di minuti o di ore risolverci un problema più o meno importante, molto spesso per scelta o per obbligo ti rimandano ad un altro sportello, numero di telefono, santo di altra religione. E tu sei lì, in attesa di trovare una soluzione, che inizi a sudare, stai delle ore a girare a vuoto, spendi soldi in telefonate, lettere, e magari anche bustarelle.


Lo scaricabarile è antiecologico per questo motivo. Consuma risorse personali facendo perdere del tempo alla gente (tempo che potrebbe dalle stesse essere usato per fini più alti), consuma risorse condivise (telefonare occupa la rete, mandare una lettera significa far muovere tutto un meccanismo che consuma e inquina), andare di persona risorse condivise (benzina) e personali. Consuma in alcuni casi la salute delle persone, che magari per un disguido o per un lassismo non si vede accreditare la pensione per mesi o che è costretta a pagare bollette stratosferiche uscite dal computer di Topolino, o che peggio ancora non riesce a prenotare una visita che potrebbe salvargli la vita. E gli consuma la pazienza, la serenità, e rovina la giornata. Niente di meno ecologico quindi esiste sulla terra, quando ciò che può essere fatto con poco viene ottenuto con tempi immemori.


 


Pertanto, cari lettori, quando siete di fronte a qualcuno che vi sta facendo uno scaricabarile, DATEGLI IL BARILE IN FACCIA!


Potrebbe rinsavirsi...

domenica 17 luglio 2011

Un pasto di ordinaria follia

Anche il piccolo decreaser ogni tanto ha bisogno di mangiare qualcosa preparato da altri. E quindi, una volta l'anno, decide di andare al ristorante per godersi una cena in assoluto relax (vicini di tavolo permettendo, ovviamente).


Per questo motivo ieri sera abbiamo alzato le stanche terga dalle sedie di casa e siamo andati a goderci per l'appunto un piccolo lusso.


Devo dire una cosa: per noi che siamo poco mondani è un bene stare in mezzo alla gente, ci dà la possibilità di vedere le "tendenze" sociali nonchè alimentari e di abbigliamento.


Tralasciando le ultime due, che sono un pianto greco, le tendenze sociali definirebbero la serata di ieri come una interessantissima full immersion in un mondo di corpi oltremodo oversize e di livello di consapevolezza prossimo al punto di fusione dell'azoto.


Ma torniamo a noi... Mentre iniziavamo a mangiare il nostro corposo seppur frugale rispetto agli altri pasto, ci si è seduta accanto una famigliola moltissimo in carne e della quale faceva parte una bambina sugli otto/dieci anni talmente gonfia da non capirne di primo acchitto il sesso. Anche la mamma e il fratello non erano da meno, per cui ti viene da pensare che la povera bimba potrebbe essere vittima di una qualche disfunzione pseudoereditaria che perseguita i suoi geni.


Ti viene da pensare a questo fin quando non la vedi arrivare con il piatto dell'antipasto a buffet "impiramidato" da una montagna di fritti. Laddove il buffet prevede ogni ben di dio, comprese decine di verdure, la bimba si è presentata a tavola con questa scultura alla Pomodoro ricca di quella che Caccamo definirebbe la frittura globale.


Guardando di sottecchi, abbiamo pensato che quel piatto fosse per tutta la tavolata composta di 4 adulti e due bimbi, data l'enormità della porzione.


E invece, mentre masticavo la mia insalata scondita facendo fatica a non far cadere la mandibola dallo stupore, questa donzellina si è fatta fuori il piatto che, approssimativamente per difetto, conteneva:


Dieci chele di granchio


otto crocchette di patate


due supplì


sei olive ascolane.


Ricordo che il conteggio era per difetto, e che mentre si lamentava perchè il cibo era viscido, ingurgitava con precisione chirurgica quegli otto etti di fritto sotto gli occhi amorevoli (?) della madre.


Siccome l'antipastino era viscido, probabilmente le è scivolato nello stomaco senza riempirla, visto che dopo si è spolverata un risotto alla crema di scampi che nemmeno un adulto sarebbe riuscito a terminare; il tutto ovviamente accompagnato da generosi bicchieri di coca cola.


Poco dopo siamo andati via, non abbiamo modo di sapere se la bimba ha continuato a mangiare o se il risotto non viscido le abbia placato il dinosauro residente nel suo stomaco.


Certo è che consentire ad un bambino di fare un pasto del genere è pura follia e assoluta incoscienza.


Non potevamo impicciarci, ma forse è il momento di preparare dei volantini da dare a questi noncuranti genitori nei quali si spiegano i rischi che l'obesità infantile provoca negli adulti di domani.


Alla bambina auguro che abbia almeno digerito quell'assurdo pasto, alla mamma auguro che un minimo di coscienza le arrivi, magari per natale... 

giovedì 14 luglio 2011

C'era una volta un pezzetto di terra...

C'era una volta un pezzetto di terra incolta, nella via in cui abito. 


Via che peraltro è molto verde, circondata com'è da orti e ampi giardini privati. Ma questo pezzetto di terra, di pertinenza dei condomini adiacenti al mio, era libero, sebbene abbandonato a sè stesso e alle deiezioni dei cani di proprietari menefreghisti e incivili.


E quindi, esasperati dall'erba (?) e dal concime canino, i vicini hanno deciso di asfaltare il pezzo di terra.


Avrebbero potuto farci tantissimo con quello spazio, perchè era abbastanza ampio da organizzare un piccolo orticello. Oppure un mini parco giochi per i bambini dei due palazzi, o piantare degli alberi che avrebbero negli anni portato bellezza, vita, e ombra dall'estivo sole cocente.


Ma, anzichè dedicare un'ora a settimana del loro tempo (tanto sarebbe stato l'impegno), hanno deciso che una lunga, funerea colata di cemento avrebbe risolto il loro problema. Sicuramente adibiranno questa rovente striscia al parcheggio delle loro super macchine, sicuramente il caldo cocente che attanaglia quello spazio di strada li aggredirà ancora di più.


Se c'è qualcosa che mi auguro, è che soffrano il caldo. Poi, che l'asfalto si sgretoli in breve tempo e lasci spazio a erbacce e specie spontanee, e infine che i cani continuino a fare i loro bisogni in quel punto... magari sul cofano delle loro macchine.


Mi rendo conto che non sto certo porgendo l'altra guancia, ma quando la stoltezza della gente la fa perseverare nel distruggere il pianeta anzichè migliorarlo, non può esserci comprensione per questi gesti.

domenica 10 luglio 2011

Less is more. Diario di decrescita step by step. 2° step: la domenica

Da tanto non aggiungevo uno step al diario della decrescita.


Questo è infinitamente più semplice del primo, perchè rinunciare allo zucchero è compito abbastanza impegnativo.


Ma parliamo della domenica: abituati come siamo a dover produrre 7 giorni su 7 e h24, le nostre domeniche sono spesso incentrate sull'occupazione obbligatoria delle nostre ore di ozio.


Ogni stagione ha la sua occupazione domenicale, che siano le spiagge piuttosto che i ristoranti o i sempre troppo frequentati centri commerciali, alzi la mano chi dedica questo giorno della settimana all'ozio più totale.


Lo ammetto... sono avvantaggiata. Il compagno pigro offre la giusta scusa per abbandonarsi all'ozio: non vuole uscire e tu non vuoi lasciarlo solo, non vuole andare a mangiare fuori e tu da sola di domenica non ci andresti, non ama assolutamente lo shopping e che gusto c'è a fare shopping se poi usi la tua carta di credito?


Bando alle chiacchiere, e complice sia il compagno che un nuovo, schiantante lavoro a tempo del quale parlerò a contratto terminato, la mia domenica inizia a consolidarsi in un meraviglioso momento di assoluta nullafacenza (tranne l'ora in cui stiro gli indumenti) e di relax rigenerante.


E oggi, mentre cercavo di capire come combattere il caldo terribile, mi sono venuti in mente i miei mille, lunghi,  misantropici pomeriggi adolescenzial-estivi durante i quali mi sdraiavo in terra vicino alla serranda abbassata della camera e leggevo decine e decine di libri di fantascienza presi in prestito dalla biblioteca.


A conti fatti,  a quindici anni e nel pieno del consumismo edonistico degli anni 80 che obbligava noi adolescenti a spendere paghette (nostre) e stipendi (dei genitori) in inutili e deturpanti abbigli, io già decrescevo, contribuendo a mantenere in bilancio le esili entrate della mia famiglia e a consumare zero.


E' strano che proprio oggi ricordi quei momenti, nei quali era molto facile e costava assai poco consumare quasi nulla, ma non è assolutamente strano che affiorino alla memoria come momenti di assoluta pace e realizzazione personale.


Ergo, senza nulla togliere a chi decide di sottoporsi a lunghe e asfissianti code in macchina, a salassanti conti al ristorante o a saldi pinocchieschi, ho deciso di ripristinare le vecchie, vecchissime abitudini e di decrescere leggendo libri in prestito sdraiata comodamente sul pavimento fresco.


Già, perchè la tessera della biblioteca ancora ce l'ho attiva, e sebbene abbia ampliato i miei gusti letterari, riesco ancora a leggere moltissimi libri gratis. Ma questo, è un altro step!


Buona domenica!!!


 

lunedì 4 luglio 2011

Quanto shampoo usare?

Non ci rendiamo conto di quanto la decrescita e l'ecosostenibilità possano far bene alle nostre tasche finchè non mettiamo in pratica i millemila suggerimenti che riceviamo da ogni dove.


Tra i tanti, il caso dello shampoo è davvero eclatante. Solitamente apriamo la bottiglia, ne versiamo una generosa dose sulla mano e iniziamo a lavare le nostre teste; molto spesso lo shampoo non si sparge bene quindi aggiungiamo una seconda dose, molto spesso rischiamo di affogare in un casco di schiuma senza feritoie. Quale che siano le opzioni, una famiglia di quattro persone arriva a finire il flacone classico in un breve periodo che va dai 10 ai 20 giorni. Visto che molte persone acquistano i prodotti in offerta a 1, 2 euro, sembrerebbe che il gioco valga la candela... cosa vuoi che siano 2 euro di media al mese?


Ma la strada verso i rifiuti zero, o i consumi prossimi allo zero è fatta anche di piccolissimi passi, senza contare poi che ogni prodotto ha costi nascosti che non ci è dato sapere, oltre al fatto che la maggior parte degli shampoo in commercio costituisce un vero laboratorio chimico ricco di sostanze non proprio ottimali per il nostro organismo.


Cosa possiamo fare, in concreto, per percorrere questo piccolissimo passo?


Ogni volta che ci laviamo i capelli, mettiamo la dose che siamo abituati ad usare in un flacone vuoto, aggiungiamoci il doppio, il triplo o anche il quadruplo in volume di acqua, agitiamo bene il tutto e poi versiamo (senza esagerare) il tutto direttamente in testa o sulla mano. Magicamente, scopriremo che non riusciremo ad utilizzare tutto il liquido diluito perchè già alla prima "sversata" i capelli si sono riempiti di schiuma lavante. Il resto lo si può tranquillamente conservare fino ad un massimo di tre/quattro giorni e riutilizzare per almeno altre due volte. Non riempire mai il flacone dello shampoo con acqua perchè l'acqua annulla il sistema conservante e facilita la proliferazione di batteri e quindi il rischio che il prodotto si guasti, irrancidisca e vada poi a provocarci strane reazioni.


In questo modo, scopriremo che l'elefantiaca dose che prima utilizzavamo e che talvolta non sembrava bastare per pulire i nostri capelli, in realtà è sufficiente per quattro persone. E potremmo anche scoprire che gli shampoo ecobio, i quali sono accusati di costare in alcuni casi troppo (ma mai quanto i cosidetti prodotti di alta profumeria), sono concentrati e quindi possono essere diluiti con più acqua e durare di conseguenza di più.


Oltre al piccolo risparmio in termini economici (ma grande in termini sociali), contribuiremo a generare meno spazzatura (meno flaconi vuoti) e ad immettere con minor frequenza sostanze tossiche nell'ambiente.


 


Un piccolo passo che a noi costa davvero poco, ma che ha ripercussioni incredibili sull'intero ecosistema.


E poi, basta solo provare... anche i capelli ci ringrazieranno!

venerdì 1 luglio 2011

Diario di un orto modesto - part one

Quest'anno mi sono buttata, come qualcuno avrà letto in un mio recente post (http://biosipuo.myblog.it/archive/2011/06/07/il-balcone-e-il-peperone.html)


E rispetto agli anni passati, qualcosa di diverso si inizia a intravedere... Saranno le teste di aglio che ho meso quasi ovunque nei vasi, sarà che ho selezionato con attenzione le mie semine o trapianti, ma il poco che ho messo a dimora mi ha dato ampio materiale di studio.


Ad esempio, la cicerchia ci ha lasciati... Essiccata in tutta la sua lunghezza e con baccelli piccolissimi, credo che l'anno prossimo dovrò metterla in un vaso più grande e con tanta terra.


La luffa, che gli anni passati non si era mai degnata di germogliare, con la pre-germogliatura in vetro suggerita da Erbaviola, adesso rampica felice e verdissima su un muro esposto a ovest.


Il trittico peperoncini-basilico-peperoncini invece mi ha dato due risultati differentissimi:


-insieme a spicchi di aglio che ora sfrondano al vento, le piante in questione stanno diventando degli arbusti che superano allegramente i 30 cm di altezza.


- insieme a una pianta di rosmarino, patiscono non so cosa e rimangono minimi mentre il rosmarino è di un rigoglioso mai visto sui miei balconi.


E ancora, la stevia quest'anno stenta, forse dovrei esporla a nordovest e non al sole cocente del pomeriggio; il fagiolo mung non cresce e non crepa, i cavolini di bruxelles sono in procinto di essere trapiantati.


Senza infamia e senza lode i peperoni seminati, che proprio non vogliono saperne di crescere.


 


Ecco... forse quello che dovrò curare nella prossima stagione sono le sinergie e le antipatia tra piante, così da arrivare tra qualche decennio a fare una piccola permacultura da balcone che si protegge pure dalle onnipresenti formiche che adesso ci invadono.

martedì 28 giugno 2011

Comfort food...

Quando si è stressati si perde il contatto con quanto il nostro corpo ci trasmette: dimentichiamo di andare in bagno, di bere, e mangiamo quello che ci capita a tiro. Se siamo chiusi all'ultimo piano di in un bunker di acciaio nero e cristalli fumè, e senza la possibilità di fare una pausa al piano terra in un bar o in un posto semi-civile, l'unica alternativa per rilassarci da un devastante quanto tediosissimo corso di formazione è rifugiarci nel locale dove ci sono i distributori.


E' qui che, annientati nello spirito, con nemmeno la forza necessaria ad aprire la porta del bagno, ci rifugiamo alla ricerca di quella carica energetica che oscuri vampiri ci hanno succhiato con diecimila pagine di presentazione in pps.


Non c'è scampo, nemmeno i più virtuosi e coloro che sono a dieta stretta ce la fanno a resistere, nemmeno quelli come me che per una settimana e mezza hanno resistito stoici con la loro bustina/ona di frutta... alla fine la macchinetta è l'unico conforto che resta e il cibo morbido, saporito, grasso, a buon mercato e killer ci dona l'effimera sensazione di poter proseguire fino alle due e oltre. 


E così, quella che nasce come un'esigenza nata durante una situazione di emergenza, rischia poi di cronicizzarsi, cristallizzarsi in efferata abitudine pluriquotidiana. Quello che in termini aziendali potrebbe essere rappresentato da un risparmio di tempo e quindi (pensano loro) in aumento di produttività, si rivela un temibile boomerang per le nostre arterie, i nostri stomaci, il nostro organismo in generale.


E, alla lunga, si trasforma in una spesa quotidiana di un certo livello, dal momento che cercheremo più volte al giorno di fuggire da quell'assurda alienazione che noi accettiamo sotto il comune nome "lavoro di ufficio" e rifugiarci in quel finto, energivoro, succhiavita angolo delle tentazioni che noi chiamiamo zona relax...

giovedì 16 giugno 2011

Less is more. Diario di decrescita step by step. Primo step: lo zucchero

Nell'ambito di un progetto di decrescita potremmo prendere in considerazione un milione di attitudini che si prestano allo scopo.


Sappiamo ormai che ridurre i consumi è fondamentale, e soprattutto che non c'è bisogno di epici sacrifici per fare la nostra parte quotidiana: basta poco per cominciare, e una piccola idea di come farlo.


Il primo step del mio progetto riguarda lo zucchero.


Lo zucchero inteso in quanto prodotto della lavorazione di barbabietola, canna e mais (sotto forma di sciroppo di glucosio o glucosio), non quello contenuto nella frutta per intenderci. Parlo dello zucchero che apporta calorie vuote e zero nutrienti, di quello zucchero che consumiamo in enormi quantità senza rendercene conto perchè ormai è ovunque.


Parlo dello zucchero che ingeriamo fin dal primo mattino perchè ce lo ritroviamo nello yogurt, nel succo e nella merendina e che ci accompagna lungo tutta la giornata quando mangiamo pane (spesso addizionato), insaccati, piatti pronti surgelati o precotti, bibite varie, caramelle e dolciumi vari fino al semplice cucchiaino che consumiamo nel caffè.


Ecco... oltre a far male in modo indicibile (e basta digitare su google per capire quanto possa far male), lo zucchero è una spesa superflua per le famiglie (facciamo il conto di quanti kg ne consumiamo ogni anno e moltiplichiamo per il costo al kg), uno spreco inutile di risorse del pianeta (piantagioni di barbabietole irrorate di pesticidi e concimi chimici inquinanti, fabbriche maleodoranti e tutto il ciclo di trasporto che subisce il prodotto), un potenziale, pericolosissimo fattore di malattie (diabete, carie dentarie, depauperamento del patrimonio vitaminico dell'organismo, etc etc etc).


Un prodotto inutile e dannoso, che interferisce con l'assimilazione dei nutrienti veri, degli zuccheri derivanti dai cereali integrali, da frutta e verdura. 


 Lo zucchero è dappertutto sugli scaffali della grande e piccola distribuzione, se da una parte è molto facile capire quali sono gli step per evitarlo, dall'altra ciò richiede una grande attenzione per mantenere la rotta:



  • farò attenzione a consumarne solo uno o due cucchiaini nell'orzo giornaliero o bi-giornaliero

  • comprerò solo cibi freschi o confezionati senza zuccheri aggiunti

  • eviterò il più possibile bibite addizionate e caramelle/gomme di ogni genere


Un impegno apparentemente piccolo ma dal grande impatto personale e ambientale.

D'altronde da qualche parte si dovrà pur cominciare, no?

martedì 7 giugno 2011

Il balcone e il peperone

Sono 4 anni che mi cimento con ortaggi e verdure sul mio bel balcone.


Gli esempi di tanti amici, erbaviola in testa, mi hanno sempre stimolata a "osare".


Così, anche quest'anno mi sono lanciata nella meravigliosa esperienza: memore però dei fallimenti passati, ho deciso di dedicarmi a poche semine (o trapianti) facilmente controllabili.


Così, scartando molte cose tra cui i pomodori che a me proprio non riescono, e sperando che prima o poi alcune specie vadano a germinazione (leggasi Stevia), ho creato delle simpatiche composizioni in vaso di peperoncini e basilico, uniti ad aglio o rosmarino. Ho anche delle magnifiche piantine di Luffa cilindrica e di cicerchia, fagioli mung e peperoni.Nel frattempo, per un evento involontario (la busta di miglio per gli uccellini è caduta in un vaso), forti piantine di miglio crescono sul lato nord della casa, e la bella pianta di limone pare che quest'anno potrebbe fruttificare assai.


Rispetto agli anni passati, stavolta mi sono limitata a poche cose, controllabili facilmente e che renderanno il mio balcone un sobrio e funzionale orticello di aromatiche, frutti e legumi (spero). 


Al di là del risultato, e del balcone momentaneamente devastato dalla terra, l'esperienza del giardinaggio è una di quelle che riesce maggiormente a scaricare le tensioni e farci riappropriare di antiche conoscenze che, visti i tempi, dovranno essere messe al più presto nel curriculum delle nostre vite.


Nell'attesa di avere in futuro un vero pezzettino di terra con il quale lavorare, questo per me è già molto!


Mung e CicerchiaLuffa cilindrica


 


 


 


 


 


 


 


 


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giovedì 2 giugno 2011

La "moda" del barefooting

Non leggo molto di frequente le riviste femminili, ma ogni volta che ne apro una trovo molteplici spunti per nuovi post.


Il primo dei tanti, e al momento maggiormente privo di senso, è quello trovato su Donna Moderna che tratta della "nuova tendenza" diffusa tra i vips nostrani e oltreoceano del camminare scalzi.


L'articolo ahimè, è abbastanza ricco di notizie superficiali e poca sostanza; non parliamo poi del fatto che il movimento dei barefooter o dei camminatori scalzi ha l'età dell'uomo sulla terra, cioè qualche milione di anni. Ci sembra un'età abbastanza avanzata per avere il coraggio di sostenere che è una moda, come superficialmente fa l'autrice dell'articolo. Un breve richiamo alle tesi di diversi medici secondo i quali indossare scarpe fa male alla nostra colonna e alla nostra struttura muscolo-scheletrica in toto, e via di nuovo verso due pagine che con l'informazione non hanno nulla a che vedere. La chicca finale dello scritto, è data dal fatto che le ultime righe sono dedicate ai tragici inconvenenienti dello sventurato barefooter: pericolo di prendersi il tetano, i funghi, di pestare siringhe o cocci di vetro, di vedere i nostri piedi imbruttirsi e imbarbarirsi day by day. Per non parlare del fatto che, orrore, potrebbero "potenziarsi". Che se qualcuno mi spiega che male c'è a potenziare il nostro corpo forse capisco meglio questo immane pericolo.


Camminare scalzi non è una moda, ma una necessità che tutti gli esseri umani devono tener presente: non ce ne frega nulla dell'attrice che per uno scatto in più farebbe di tutto, non servono a nulla articoletti da quattro soldi... Ci sono fior di studi che comprovano i danni causati da scarpe troppo alte o troppo strette o troppo scarse o troppo e basta; se non crediamo agli studi, guardiamo i nostri piedi e vagliamo lo stato di salute del nostro apparato. Poi, con molta calma, reimpariamo a camminare e facciamolo da scalzi.


Se l'articolo non rende assoluta giustizia alla pratica del camminare scalzi, dobbiamo però sapere che i nostri piedi vengono compressi, deformati, inscatolati in innaturali attrezzi di tortura: li chiamiamo scarpe, ci siamo convinti che senza non potremmo vivere, ma sappiamo bene che per diverse ore al giorno potremmo farne a meno. Non dico sulla metro o in ufficio, ma in casa in palestra o quando andiamo al parco, controlliamo bene la nostra porzione di verde (per evitare gli orrori in agguato) e godiamoci finalmente la terra sotto i piedi!


Link: http://biosipuo.myblog.it/archive/2009/02/16/a-piede-libero2.html


http://www.macrolibrarsi.it/libri/__a-piedi-nudi.php

mercoledì 25 maggio 2011

Giardinaggio d'assalto

Sono anni che sogno un piccolo pezzo di terra da incasinare con i miei mille tipi di semi. E forse questo fantasticare mi ha fatto prendere la decisione, un paio di settimane fa, di passare all'azione nel giardino degli altri.


Tranquilli, non sono ancora così coraggiosa da lanciare "bombe" di semi in casa di sconosciuti... ho semplicemente approfittato della distrazione della suocera per seminare tra i meravigliosi fiori del suo giardino dei simpatici zucchini.


La messa a terra di piante e semi ha una resa completamente differente rispetto agli stoici vasi che da anni si impegnano sul mio balcone, ed è sempre un piccolo miracolo vedere come in pochi giorni un seme inizi a diventare una tenera piantina che darà succulenti fiori e frutti. La sorpresa di vedere quindi, a distanza di pochi giorni le future zucchine è stata grande, tanto da rendere necessaria una documentazione fotografica : http://bijou-e-dipiu.blogspot.com/2011/05/guerrilla-gardening.html


Alla fine, anche la suocera che ha scoperto l'azione ribelle ha acconsentito a tenere le piante, e come voi sapete una volta che si comincia... si spera di riuscire a strappare qualche metro di terra per fare un orticello!


Nel frattempo, se volete vengo a fare guerrilla gardening anche nei vostri giardini!

lunedì 16 maggio 2011

La disponibilità infinita

E' bello vivere in un centro urbano, ancor di più se intorno ci sono tanti bei centri commerciali. E' bello perchè si ha la possibilità, sette giorni su sette, di poter comprare qualsiasi cosa, utile o futile che possa essere, che ci viene in mente. Ho già scritto altre volte di queste realtà moderne che stanno velocemente sostituendo parchi e piazze urbane, ma stavolta ho toccato con mano i meccanismi che consentono agli utenti finali di poter gironzolare allegri in questi luoghi tutti i giorni della settimana.


Cominciamo a parlare proprio della disponibilità infinita che una persona deve dare al centro commerciale se decide di lavorare al suo interno:



  • le domeniche non esistono, e molto spesso nemmeno le "feste comandate". Se hai bisogno di prenderti un giorno festivo per un pranzo in famiglia piuttosto che una cerimonia piuttosto che un qualsiasi altro evento, devi essere pronto a scambiare turni e favori. Se poi necessiti di un fine settimana, potrebbe essere necessario il nullaosta del segretario pontificio.

  • non esistono nemmeno gli orari normali, perchè il negozio rimane aperto fintanto che è aperto tutto il centro. Così, se chiude alle dieci di sera, capita che chi ha quel turno torni a casa alle dieci e mezza o alle undici. E questo sacrificio l'ha fatto per venderti un paio di mutande...

  • devi vendere, vendere, vendere. Perchè gli affitti in generale e in un centro commerciale in particolare sono cari assai, e se non vendi non rientri delle spese. Pertanto, non è solo il venditore di abbigliamento quello costretto a proporti tutto il negozio, ma qualsiasi commesso di qualsiasi negozio. E quindi, potrebbe capitare di entrare in un esercizio e chiedere una cosa, e sentirti dire "vuole altro? le posso proporre questo abbinamento? due etti di mortadella appena arrivata glieli faccio? ... Se in un contesto di abbigliamento o alimentare è prassi accettata, meno dovrebbe esserlo in ambito medico/sanitario/naturale ma, essendo la legge del commerciante uguale per ogni esercizio, non c'è distinzione di categoria merceologica.

  • alcuni centri commerciali ti impediscono di chiudere per qualsiasi motivo la porta del negozio. Se per pura disgrazia il malcapitato esercente o dipendente che, trovandosi da solo, incappa in un'urgenza fisiologica, è costretto a tenersela fino a quando non arriva il cambio turno o gli esplode la vescica. Il tutto, come sopra, magari per venderci un paio di mutande.

  • le persone che lavorano dentro questi luoghi, salvo alcune eccezioni, vivono per un tot di ore alla settimana in luoghi bui, illuminati sempre e soltanto dalla luce artificiale. Se ci fate caso, la disposizione dei negozi l'uno attaccato agli altri senza soluzione di continuità e con tutte queste lucine, ricorda vagamente i fornetti dei cimiteri con le lampade votive.


L'elenco è certamente più lungo, e questo post potrebbe essere in futuro aggiornato. Ma, se anche solo questi quattro punti fossero i soli e unici, volendo riassumere se ne potrebbe ricavare la seguente considerazione:


La pessima abitudine di voler esercitare il diritto all'acquisto per sette giorni alla settimana ha portato una serie di imprenditori ad occupare dei bui loculi all'interno di moderne strutture che simulano (o vorrebbero) delle piazze di mercato. Questa occupazione rende di fatto chi occupa il fornetto e offre il servizio uno schiavo al servizio dell'acquisto facile e del consumatore compulsivo o che non ha di meglio da fare. Gli occupanti dei fornetti hanno libertà limitate, sia nell'espressione di proprie opinioni che di funzioni corporali o di vita sociale, e hanno in testa solo l'obiettivo di chiudere la giornata con la cassa piena: per venderti un articolo e anche più sono disposti a tutto, e taluni non guardano in faccia nessuno. Ergo,  per questioni delicate sarebbe il caso di rivolgersi altrove.


Per concludere, faccio un appello a tutti coloro che la domenica frequentano assiduamente questi luoghi: non volendo, state legittimando una forma di schiavitù che impedisce ad altre persone come voi di passare con la loro famiglia quelle ore che voi passate con la vostra al centro commerciale. Non volendo, state affidando i vostri gusti, le vostre scelte e talvolta la vostra salute a qualcuno che non è lì per darvi dei consigli, ma per sbancare la giornata. Involontariamente, state producendo danni all'ambiente perchè i costi ambientali che il pianeta deve sostenere per "tenere" aperti quei mostri succhiaenergia sono mostruosi. E, cosa da non tralasciare, state perdendo il contatto con l'aria aperta e la fate perdere a quei novelli sepolti vivi che vi sorridono da quelle lapidi di vetro.

giovedì 12 maggio 2011

Tra il dire e il fare, c'è di mezzo l'assemblea...

La mia spinta a creare, fare, produrre è inciampata l'altro giorno nel vortice viscoso di un'assemblea condominiale: se c'è un evento che consuma a vuoto energie, tempo e voglia di realizzare, questo è proprio la riunione del condominio. Provate a pensare all'ultima volta che siete usciti da una simile nefandezza sociale con un'aria fresca, riposata, e un sorriso soddisfatto tipico di chi in poco tempo è riuscito a portare a termine un obiettivo.

Per quel che mi riguarda, l'assemblea non è una manifestazione democratica dove chiunque può liberamente esprimere la sua opinione sulla gestione di un luogo in qualche modo condiviso, ma una eccellente valvola di sfogo dove anche le menti più brillanti si trasformano in pallide e anche un pò rabbiose imitazioni umane. In quarant'anni di condominio, a me non è mai capitato di trovarmi di fronte a un gruppo compatto di persone disponibili a risolvere insieme i problemi che via via si presentavano; al contrario, capita sempre che uno più furbo degli altri voglia far valere i suoi diritti abusivi, che qualcuno venga solo per lamentarsi di sciocchezze quali una luce accesa per 15 minuti di troppo, o che l'ennesimo sapientone di turno abbia deciso di illuminare tutti i presenti con la sua sapienza(qualunque essa sia, e talvolta non si capisce bene...).

Se non l'avete capito, odio le riunioni di condominio e le dinamiche che si sviluppano in esse. E, come dicevo prima, La Riunione è l'antitesi del fare, in quanto è la celebrazione del dire (spesso a vanvera).

Non ho soluzioni in tasca, se non quella di ripromettermi di assentarmi distrattamente alla prossima convocazione :-)

 

 

NB: queste poche righe sono dedicate con affetto ai miei meravigliosi amici e vicini Alessandra, Alessia, Gianna, Adriano, Armando, Cesare e Giuseppe. E alle piccoline del palazzo.

domenica 8 maggio 2011

Un tempo per raccontare, un tempo per fare

Arriva il momento in cui le diecimila idee che hai in testa devono convogliarsi in qualcosa di pratico, altrimenti il cervello scoppia.

E' questo il motivo che mi tiene un pò lontana dal blog: dopo mesi (o anni) di inazione, e 10 mesi di disoccupazione, ho iniziato a mettere in opera i cento progetti che mi frullavano per la testa. Il tutto rigorosamente no-profit, che se chiedi a qualcuno lavoro di questi tempi ti guarda male, ma l'importante è mettere in pratica, e chissà che prima o poi...

E quindi, ho aperto un nuovo blog per "celebrare" questa fase creativa, anche se in realtà al momento creo solo i testi, le foto e qualche  piccolo lavoro; poi, ho ripristinato l'orto sul balcone, vittima lo scorso anno di una cattiva pianificazione.

E poi tante altre cose, tra cui l'inizio di una collaborazione ad un progetto web di ecologia (a breve ne saprete di più), il tirocinio in erboristeria, la nuova passione per la riflessologia plantare, il compimento della scuola quadriennale...

Nonostante risenta della mancanza di lavoro, tutta questa attività mi aiuta a credere nelle mie possibilità e capacità e a prenderci confidenza. Il mondo non è solo lo stipendio a fine mese e una vita da schiavi moderni, e per troppi anni me lo sono dimenticato.

Quindi, care lettrici e cari lettori, vi chiedo di aver pazienza e di seguirmi ancora, sempre che gradiate farlo!

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giovedì 21 aprile 2011

Il troppo stroppia... considerazioni sul mondo del lavoro

Negli ultimi giorni è salito agli onori della cronaca il caso di Sara, commessa di un negozio di abbigliamento intimo che è stata percossa per più di mezz'ora pechè si era permessa di chiedere giustificazioni sul mancato pagamento di 50 ore di straordinario.

Le Iene ne hanno tirato fuori un'inchiesta, e si è sollevato un tale polverone mediatico e di partecipazione cittadina che al momento di questo post alla titolare del negozio pare sia stata revocata la licenza del marchio che vendeva.

Dal fatto emergono molti spunti interessanti e significativi, che evidenziano quella che è una quotidiana realtà (non molto) sommersa:

i datori di lavoro, o molti di loro, abusano del tempo della disponibilità delle capacità dei propri sottoposti in un modo che non si era mai visto nemmeno all'inizio del 900. O se preferiamo, nemmeno durante la costruzione della piramidi.

I casi di violenze fisiche o psicologiche sul posto di lavoro sono in grandissimo aumento, e i testi su mobbing, straining e burn out diventano sempre più numerosi. Nel mio breve ma significativo periodo di sette mesi allo sportello mobbing di una sigla sindacale, ho sentito storie che di umano non hanno nulla, ma che  purtroppo hanno in comune l'obiettivo di distruggere la persona presa di mira come se fosse una vecchia cartaccia da cestinare.

I datori di lavoro più fantasiosi o organizzati pianificano le vessazioni con stillicidi psicologici degni del peggior sadico, dimenticando sempre che dietro il numero di matricola c'è una persona che ha gli stessi loro diritti. I datori di lavoro più rozzi, o con realtà di piccole dimensioni, ricorrono alle "maniere forti": minacce, turni impossibili,violenze fisiche, insulti. Non è la prima volta che mi capita di sentire di persone picchiate dal proprio capo, o torturate psicologicamente.

In queste condizioni, volontaria o no che sia l'attuazione del mobbing o di altre vessazioni, i colleghi tendono nella maggior parte dei casi a isolare il malcapitato di turno. E' una reazione studiata e documentata da Ege e altri suoi colleghi, fatto sta che la vittima spesso rimane sola con i suoi torturatori, finchè poi anche i colleghi decidono talvolta di infierire.

Quella che è riconosciuta dai colleghi come una tendenza all'autoconservazione del posto o a volersi parare il culo se vogliamo dire le cose come stanno, è a mio avviso il peggior autogol che la società dei lavoratori si può infliggere. Ogni volta che lasciamo passare un fatto grave senza intervenire perchè "tanto non è successo a noi", autorizziamo gli autori a reiterarlo e a farlo in qualche modo diventare legge.

Ogni volta che una Sara qualsiasi subisce violenze del genere senza che nessun collega sia disposto a intervenire e a testimoniare la follia del datore di lavoro, autorizza quest'ultimo a continuare ad usare violenza e terrore per rendere l'ambiente di lavoro più controllato, ma soprattutto meno costoso e più facilmente gestibile.

Sono giustificate le colleghe di Sara che su facebook si stanno lamentando che perderanno il posto? Forse si, perchè sono così prive di coscienza e di umanità da arrivare a suscitare pena e compassione. Magari chi non le giustificherà saranno le generazioni precedenti di lavoratori che hanno lottato duramente per acquisire quei fondamentali diritti che loro adesso svendono a una tariffa più bassa di quella di una escort, o magari a non perdonarle sarà la loro coscienza, o l'ennesimo datore di lavoro che potrebbe prendere di mira proprio una di loro.

Oppure, a non giustificarle saranno tutti quei lavoratori morti sul lavoro a causa dell'incuria del proprio datore, o della sua smania di trarre il massimo profitto al minimo costo, o di finire il lavoro in tempi disumani. Tutta questa gente, morta per portare il pane a casa, ringrazierà vivamente una coscienza civica spiccata come quella delle colleghe di Sara.

Comunque, per tornare al caso recente, fino a che punto siamo arrivati a svendere la nostra consapevolezza?

Fino a che punto ci siamo trasformati in moderni schiavi che sviliscono il loro tempo per quattro soldi da versare poi alle banche in prestiti e mutui? Siamo davvero più evoluti dei nostri genitori, nonni, antenati di mille anni fa se l'anima dell'uomo moderno accetta botte, insulti e compagnia bella per 700 euro al mese?